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Lo yen è sullo stesso livello della lira turca e del peso argentino, secondo George Saravelos, responsabile globale della ricerca sui cambi di Deutsche Bank. Il paragone è abbastanza forte, se si considera che le valute dei due Paesi in via di sviluppo hanno perso oltre il 90% del loro valore rispetto al dollaro negli ultimi dieci anni. Inoltre, lo yen rimane sempre la terza valuta più scambiata a livello globale e fino a poco tempo fa era il rifugio preferito dagli investitori nei momenti di grande tensione economica e geopolitica. Tuttavia, l’ostinazione della Bank of Japan a tenere la politica ultra-accomodante lascia poche speranze di ripresa della moneta giapponese, a giudizio di Saravelos.
Questa settimana la Banca centrale ha attuato alcune mosse sul fronte del controllo dei rendimenti dei Bond a 10 anni che fanno pensare a una maggiore flessibilità dell’istituto monetario. Il mercato però ha percepito l’iniziativa come insufficiente a smuovere la situazione e infatti lo yen ha subito il suo più grande calo giornaliero da aprile, precipitando fino a oltre 151 per dollaro. “L’ampia sottoperformance dello yen degli ultimi due anni può invertirsi solo quando accade una cosa semplice: la Banca del Giappone inizia ad alzare i tassi d’interesse, e molto più di una piccola mossa verso lo zero”, ha affermato Saravelos.
Yen: Deutsche Bank, nessun vantaggio dall’intervento del governo
Ieri Masato Kanda, il più alto funzionario del Ministero delle finanze giapponese, ha dichiarato che le autorità sono pronte ad agire se necessario per stabilizzare lo yen. Tuttavia, questa suona più come una minaccia spuntata, dal momento che da diverso tempo il governo si limita ad azioni solo verbali anche di fronte alle situazioni più difficili per la valuta. In ogni caso, Saravelos ritiene che non ci sarà alcun vantaggio dall’eventuale intervento da parte del governo giapponese.
La soglia di 150 di USD/JPY è considerata come chiave per effettuare o meno una massiccia operazione di rafforzamento dello yen sui mercati valutari. Lo scorso anno il governo è intervenuto per due volte: una prima a settembre allorché il cross aveva superato la quota di 145 e successivamente a ottobre dopo incursioni verso 150. Tuttavia, alla lunga, l’operazione – che aveva comportato un esborso da 9.000 miliardi di yen – non ha sortito l’effetto sperato poiché la BoJ ha perseverato a tenere i tassi d’interesse negativi e ad adottare un rigido controllo sulla curva dei rendimenti. La conseguenza è stato l’inesorabile indebolimento della moneta domestica.
Oggi potrebbe configurarsi lo stesso scenario, per Saravelos. “L’intervento giapponese per difendere lo yen sarà, nella migliore delle ipotesi, inefficace e nella peggiore peggiorerà la situazione”, ha asserito. L’esperto prevede che il Giappone vedrà deflussi di capitali via via che i rendimenti locali corretti per l’inflazione scivoleranno sempre più in territorio negativo.
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