(BorsaeFinanza.it)
Le small cap oggi sono più convenienti a Wall Street rispetto alle società a grande capitalizzazione. Se si considerano gli ultimi picchi, il benchmark Russell 2000 è sceso di circa il doppio rispetto all’indice S&P 500. Questo potrebbe attirare un numero maggiore di investitori che comprerebbero a prezzi scontati. Inoltre, se si considerano i multipli, oggi il Russell 2000 scambia a 12,5 volte gli utili attesi per i prossimi 12 mesi, ben al di sotto a 19,5 volte dei livelli pre-pandemici. Il più importante benchmark americano invece è negoziato a 21,2 volte i guadagni stimati, poco sotto un rapporto price/earning di 22 prima dell’arrivo del Covid-19.
Wall Street: i problemi delle small cap
I numeri in teoria farebbero propendere per acquistare le azioni small cap alla Borsa americana. In realtà ci sono almeno due ragioni per starne alla larga. La prima si riferisce alla politica monetaria della Federal Reserve. I mercati stanno scontando un aumento dei tassi di 25 punti base nella prossima riunione di maggio. Tale stretta sarebbe seguita da una pausa, prima di avviare il taglio del costo del denaro. Tuttavia, a detta di molti analisti, le prospettive prefigurate dal mercato sono troppo ottimistiche. Affinché ci sia un allentamento sostenuto e rapido, occorrerebbe o uno shock finanziario tale che la Fed metta al prima posto la crescita rispetto all’inflazione, oppure un crollo verticale dell’inflazione stessa.
Scenari alquanto improbabili. Se invece prendesse corpo lo scenario più plausibile, ossia quello di un contenimento dell’inflazione da parte della Fed con più di un rialzo prima di una pausa più o meno lunga, i tassi si manterrebbero ancora alti e questa non sarebbe la condizione ideale per le aziende meno capitalizzate.
La seconda ragione riguarda le ricadute delle turbolenze bancarie. La situazione traballante di First Republic Bank non si sa ancora quali sviluppi potrà avere, ma di certo si sta delineando un possibile credit crunch nel sistema bancario che potrebbe avere un effetto negativo sul debito delle small cap americane, in quanto non solo hanno un’esposizione debitoria consistente ma anche una gran fetta dell’indebitamento sensibile ai costi di finanziamento. Secondo le stime di JPMorgan, le small cap di USA e Canada hanno in media oltre il 37% del debito a tassi variabili, a fronte del 15% delle large cap.
Tra l’altro, la scadenza media del debito è più breve per le società a bassa capitalizzazione rispetto a quelle più capitalizzate, ossia 5,7 anni contro 8,2 anni. Ciò implica che, se non ci sarà un calo immediato dei rendimenti, il rif
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