Lo conferma lo studio del ricercatore Simone Guglielmetti, professore di Microbiologia nel Dipartimento di Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente all’Università degli Studi di Milano e co-autore dello studio italiano, condotto dalle Università di Padova e di Milano e pubblicato recentemente dalla rivista ‘Annals of Microbiology’
Secondo l’esperto: “l’assorbimento e la biodisponibilità della vitamina D potrebbero essere incrementati se l’assunzione della vitamina è associata a quella di un probiotico. Questo però non vale per tutti i probiotici: in uno studio in vitro le cellule del Lacticaseibacillus paracasei Dg hanno mostrato una capacità significativamente maggiore, rispetto agli altri ceppi testati, di solubilizzare il colecalciferolo (una delle forme della vitamina D) nella fase acquosa. In base ai risultati di questo esperimento, L. paracasei Dg* è stato selezionato per l’esperimento di biodisponibilità della vitamina D in vivo in un modello murino. Somministrato in associazione alla vitamina D3 una volta al giorno per una settimana ha determinato un aumento di circa il 50% rispetto al gruppo di controllo della concentrazione sierica di vitamina D. La carenza di vitamina D può portare al malfunzionamento del sistema immunitario, inducendo una maggiore suscettibilità alle infezioni, che in epoca Covid è particolarmente rilevante. Inoltre, la vitamina D è fondamentale per mantenere la salute delle ossa. L’integrazione della dieta con alimenti “rinforzati” e integratori a base di vitamina D sembra possa apportare un beneficio in diversi ambiti tra cui la prevenzione delle fratture nelle donne anziane, la riduzione di diabete gestazionale, il basso peso alla nascita e la preeclampsia in gravidanza”.
Ricordiamo che una carenza di vitamina D può favorire un maggiore rischio di infezioni, anche virali. Sono soggetti a rischio soprattutto le donne in gravidanza e in menopausa, i bambini e gli adulti obesi e le persone che non si espongono al sole. Dall’ultimo dossier Aifa ‘L’uso dei farmaci nella popolazione anziana in Italia’ si evince che il colecalciferolo è la molecola più utilizzata: circa 4 donne su 10 ne hanno ricevuto almeno una dose nel corso del 2019, con un valore del 41,7% nella fascia di età compresa tra 70 e 74 anni.