Tassi Fed: cosa potrebbe succedere nel 2024

Di Redazione FinanzaNews24 6 minuti di lettura

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Mercoledì 20 è una data segnata in rosso nell’agenda degli investitori. Alle 20:00 – ora italiana – si concluderà la riunione Fed con l’annuncio del nuovo livello dei tassi sui Fed funds. Livello che sarà, con tutta probabilità, uguale a quello vecchio, ossia nell’intervallo 5,25%-5,5%. Quasi tutti gli analisti intervistati da Bloomberg ritengono che i tassi rimarranno invariati mentre in un sondaggio condotto da Reuters su 97 economisti ben 94 hanno risposto “tassi fermi”.

Qualche possibilità in più viene attribuita a un rialzo dei Fed funds rate nella riunione del 31 ottobre-1 novembre. 17 economisti sui 97 interpellati da Reuters ritengono che ci sarà almeno un altro rialzo dei tassi di interesse entro fine anno mentre il 33,1% del consensus di Bloomberg si attende un ritocco di 25 punti base nel prossimo meeting. Nel complesso il 78% si aspetta un rialzo entro fine anno.

A far propendere per questa strada (un ultimo rialzo a novembre) è anche una semplice osservazione. La Fed ha fatto una pausa nella riunione di giugno, ha rialzato i tassi a luglio, potrebbe fare una nuova pausa a settembre prima di preparare un ultimo rialzo a novembre. Una “prevedibilità” che fa sempre comodo ai mercati finanziari. Ma non tutti sono d’accordo.

Le previsioni sull’andamento dell’economia

Appena una settimana fa le rilevazioni sui prezzi al consumo relative al mese di agosto hanno evidenziato una crescita annua del 3,7%, in aumento dal 3,2% di luglio e oltre le attese degli analisti mentre il dato core si è attestato a +4,3%, in linea con le stime e in calo da 4,7%. Secondo un sondaggio condotto da Reuters tra gli economisti il tasso di disoccupazione dovrebbe salire in media al 4,3% nel 2024, dal 3,8% dell’ultima rilevazione, un valore che rimane nell’ambito di un mercato del lavoro ristretto. Ci sono poi i prezzi delle case e degli affitti che dovrebbero rimanere elevati, sempre secondo gli economisti interpellati da Reuters. Si è aggiunta infine la corsa dei prezzi petroliferi dopo la decisione dell’Opec Plus di estendere fino a fine anno i tagli alla produzione, proprio nel momento in cui dalla Cina sono arrivati dei dati economici che fanno pensare a un primo segnale di miglioramento.

Gli economisti di Bank of America hanno rivisto al rialzo le stime sul PIL USA per l’intero 2023 al 2% dall’1% precedente, quelle sul tasso di disoccupazione al 3,8% da 4,1% e quelle sull’inflazione sono state adeguate al ribasso, a +3,7% da +3,9% di giugno. Anche la Fed adeguerà le sue stime nella stessa direzione secondo un recente report di Goldman Sachs, i cui analisti prevedono “una sostanziale revisione al rialzo della crescita del PIL (+1,1% al +2,1%) e moderate revisioni al ribasso del tasso di disoccupazione (-0,2% a 3,9%) e dell’inflazione core (-0,4% a 3,5%)”.

Le attese degli analisti sulla riunione Fed di novembre

Le stime sull’andamento dell’economia USA sembrerebbero lasciare poco spazio a dubbi sul rialzo dei tassi di interesse a novembre (dando per scontata la pausa di settembre). Tuttavia gli economisti di Goldman Sachs non vogliono vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato: “A novembre riteniamo che un ulteriore riequilibrio del mercato del lavoro porterà notizie migliori. L’inflazione e l’andamento discendente del PIL nel quarto trimestre convinceranno un numero maggiore di partecipanti che il FOMC può rinunciare a un ultimo rialzo quest’anno, come pensiamo che alla fine farà. Tuttavia prevediamo che il dot plot mostri una ristretta maggioranza di 10-9 ancora pronta a un ulteriore aumento, se non altro per mantenersi flessibili. Nel periodo 2023-2026 prevediamo che il punto mediano delle precisioni sui tassi mostri un percorso del 5,625% / 4,625% / 3,375% / 2,875%”.

Meno possibilista si dimostra Martin Van Vliet, global macro strategist di Robeco, secondo il quale “un nuovo rialzo mentre l’inflazione core continua a scendere aiuterebbe a convincere il mercato che la Fed è seriamente intenzionata a raggiungere l’obiettivo di inflazione del 2%” mentre “se i tassi non venissero alzati, gli operatori potrebbero anticipare le attese sui futuri tagli dei tassi di riferimento, provocando un prematuro allentamento delle condizioni finanziarie. Ciò sarebbe poco auspicabile per la Fed. Danneggerebbe la sua credibilità nella lotta all’inflazione e un danno del genere sarebbe difficile da riparare”.

Anche a parere di Sean Shepley, senior economist di Allia


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