Sindrome da burnout: la più diffusa tra i medici che si sono occupati di covid

Di Gianluca Perrotti 3 minuti di lettura

A dirlo l’ indagine condotta dall’Istituto Piepoli fa titolo ‘La condizione dei medici a due anni dall’inizio della pandemia‘ per conto della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), che sarà presentata integralmente domani alla Conferenza nazionale sulla ‘Questione medica’.

Disturbi del sonno, stress, ansia, paura, in una parola: sindrome da burnout. A esserne colpiti sono un medico di famiglia su 10, uno su quattro tra le guardie mediche, il 4% degli ospedalieri e il 3% degli odontoiatri. In totale circa 15mila in Italia, ma il dato è sottostimato.

Il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli afferma: “I medici sono in difficoltà. Le criticità che già affliggevano la professione, la carenza di personale, i mancati investimenti, la mentalità aziendalista volta a far quadrare i bilanci più che a definire obiettivi di salute, sono state acuite dall’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia. E’ per sanare questo disagio, e per tornare protagonisti del Servizio sanitario nazionale nel momento cruciale della sua riforma, che un anno fa la Fnomceo, insieme ai sindacati medici, ha sollevato quella che abbiamo definito ‘la Questione medica’. Oggi, ci ritroviamo qui, tutti insieme, per rivendicare il nostro ruolo, a livello professionale e sociale. Secondo l’Istituto Piepoli, oltre 15mila medici e odontoiatri sono colpiti da burnout – aggiunge – Un dato sicuramente sottostimato: secondo una metanalisi condotta su 55 studi pubblicati sui disturbi a carico dei medici dopo il primo anno di pandemia, una percentuale significativa di colleghi sta sperimentando alti livelli di sintomi di depressione e ansia. La prevalenza di depressione e ansia nei sanitari è rispettivamente del 20,5% e del 25,8%. Sorge spontanea a questo punto la domanda: chi cura i curanti? La perdurante mentalità aziendalista che pervade il nostro Ssn, tutta concentrata solo sui risultati economici, non ha permesso di mettere in atto iniziative tese a rilevare questo drammatico fenomeno, né tantomeno a interrogarsi su come prevenirlo e affrontarlo. Per questo domani, chiederemo, tra le altre istanze, il riconoscimento del burnout come malattia professionale”.

 

 

 

 

 

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