In tutto il mondo (anche in Europa) gli squali sono vittime di una pratica orribile che li sottopone a una morte lenta e dolorosa. Ecco cos’è il finning e perché dovremmo cercare di fermarlo. Tra il 2012 e il 2019, più di 200 paesi e territori hanno importato ed esportato carne di squalo per il commercio globale per un valore di quasi 2,2 miliardi di euro. La Spagna è il primo esportatore e l’Italia è il primo importatore
Il termine inglese finning indica la pratica mediante la quale gli squali vengono portati sulle navi e privati delle loro pinne più vendibili, come la dorsale, il pettorale e infine il lobo inferiore della pinna caudale. Dopo l’amputazione, il destino degli squali è segnato. La loro carne è inutile e quindi nemmeno redditizia, quindi nella maggior parte dei casi i corpi vengono ributtati in mare. Le cifre sono altissime: ogni anno muoiono tra 63 milioni e 273 milioni di squali.
Le pinne di squalo costano circa $ 400 per chilogrammo, ma in paesi come Stati Uniti, Canada, Australia e Brasile, dove la pratica è vietata, possono avere un prezzo compreso tra $ 10.000 e $ 20.000 ciascuna. Tutto questo mette a rischio circa il 60% delle specie di squali, purtroppo non solo Cina e Vietnam stanno contribuendo a questo massacro, ma soprattutto noi. L’Italia esporta 3.500 tonnellate di pinne di squalo e 10.000 tonnellate di carne.
Quindi sorge la domanda: chi è il vero assassino tra noi e questi adorabili animali? È noto che gli squali hanno una cattiva reputazione, forse grazie a film e fiction, ma la loro esistenza è essenziale per la nostra sopravvivenza e per l’ecosistema marino.
Per 400 milioni di anni (quando sono apparsi sul nostro pianeta) hanno controllato la popolazione di molti altri animali, una delle tante razze che, riproducendosi, modificano a loro volta le popolazioni di altre specie predandole (come i bivalvi) e alla fine, tutto ci riguarda. Infatti, se scarseggiano i bivalvi o qualsiasi altro tipo di animale, anche il mercato ittico ne risente.