Il decreto sui carburanti dopo le proteste torna al Consiglio dei ministri, ma nulla di fatto. Se il prezzo del greggio torna a salire, il governo utilizzerà l’addizionale Iva per sterilizzare l’aumento.
Dopo un’aspra polemica (con distributori di benzina sul piede di guerra e annuncio di massicci scioperi) dopo l’approvazione dell’Ordinanza sulla Trasparenza, che indirettamente ha puntato il dito contro i distributori di benzina per aver alzato i prezzi dei distributori invece di non riprendere gli sconti speciali, il Governo sta provando a correggere il tiro, ma agire sempre e solo “a costo zero”. Due giorni dopo, il nuovo Consiglio dei ministri ha approvato alcune modifiche all’imminente decreto-legge sul controllo dei prezzi dei carburanti.
Quali sono le novità e le modifiche apportate al Decreto Trasparenza?
– Prorogati fino al 31 dicembre 2023, fino al 31 dicembre 2023, i buoni benzina che i datori di lavoro privati possono concedere ai dipendenti, sempre fino a 200 euro per lavoratore, esentasse fino a tale soglia (non concorrono al reddito da lavoro ). );
– Il governo si impegna, in caso di aumento del prezzo del greggio e del conseguente aumento dell’IVA nel trimestre di riferimento, a utilizzare le maggiori entrate percepite come imposta statale per finanziare una riduzione del prezzo finale della pompa.
Costeranno allo Stato?
Nel primo caso, ricordiamo che non si tratta di bonus obbligatori da 200 euro, ma di prestazioni aggiuntive che il datore di lavoro può erogare o meno oltre alla consueta soglia di prestazioni non imponibili. Questo non costa nulla allo Stato, perché è una libera scelta aziendale che va considerata nell’ambito della ricchezza privata.
Nel secondo caso, invece, non si tratta di riapplicare uno sconto sulle tasse applicate ai carburanti – le famose e intoccabili accise che incidono pesantemente sul prezzo finale al distributore di benzina – ma anche un impegno a ridurre le tasse a fronte di un possibile aumento del prezzo del greggio, che dovrebbe portare nuove entrate per lo Stato dall’IVA (cioè un’imposta che grava sul prezzo finale al consumatore).
In pratica una sorta di sterilizzazione fiscale, in cui i prezzi dovrebbero salire di più rispetto a quelli attuali, ma solo se ciò avvenisse a causa di un aumento del costo delle materie prime (petrolio).