Salute e sicurezza sul lavoro: i dati raccolti dall’ISTAT in questo anno di pandemia

Di Alessio Perini 5 minuti di lettura

Il Belpaese e la sicurezza sul lavoro: 366mila persone hanno dichiarato, all’indagine svolta da Istat,  di aver subito nei dodici mesi precedenti l’intervista almeno un infortunio sul lavoro: Questo però è stato un anno particolare a causa della pandemia. 

L’attuale Indagine sulle forze di lavoro prevede, come previsto dalla normativa comunitaria, ha avuti l’inserimento di un “modulo speciale” nel questionario standard, che cambia annualmente ed esamina un aspetto specifico del mercato del lavoro. Nel 2020 è stato discusso il tema della Salute e Sicurezza sul Lavoro. In particolare, per le persone di età compresa tra 16 e 74 anni, sono state raccolte informazioni sugli infortuni occorsi durante il lavoro e sui relativi problemi di salute. Per i lavoratori sono state raccolte anche informazioni sulla percezione dell’esposizione a fattori di rischio per la salute fisica o psichica sul luogo di lavoro. Contemporaneamente a questo lavoro, sono stati diffusi  anche i dati europei.

Nel 2020, 366mila persone hanno dichiarato di aver subito nei dodici mesi precedenti l’intervista almeno un infortunio sul lavoro: si tratta dell’1,4% del numero di dipendenti nel periodo analizzato (circa 25 milioni 544 mila persone, di cui 22 milioni 827 mila occupate anche al momento dell’intervista). Se si calcola il valore per una popolazione di età compresa tra 15 e 64 anni (per poterlo confrontare con i dati di altri Paesi europei), la quota sale all’1,5% rispetto al 2,4% della media. Un caso di studio simile è stato condotto anche nel 2007 e nel 2013. Tuttavia, dato che la pandemia ha reso il 2020 un anno speciale con gravi ripercussioni sia sui livelli occupazionali che sulla struttura dell’occupazione, il confronto con i dati del 2013 (in particolare, il numero totale di persone che dichiarano di aver subito almeno un infortunio in 12 mesi) dovrebbe essere fatto con cautela.

Dallo studio emerge che: su 366mila infortunati, al momento dell’intervista ne risultano ancora occupati 330mila. La quasi totalità degli infortunati occupati riguarda lavoratori dipendenti (84,9%), la quota di chi svolge un’attività autonoma si ferma al 14,9%. Gli operai rappresentano la categoria di lavoratori più esposta al rischio di incidente; sono infatti circa la metà degli infortunati (per un totale di 164mila lavoratori) e hanno il tasso più elevato (2,0%). Al contrario, quello più basso si registra tra i dirigenti e i quadri (0,6%), per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, e tra gli imprenditori e i liberi professionisti (0,2%), per i lavoratori autonomi. Un quarto degli infortuni ha coinvolto lavoratori dell’Industria in senso stretto ma le  incidenze più elevate del fenomeno si registrano tra i lavoratori della Sanità (3,0%), dell’Agricoltura (2,4%), delle Costruzioni (2,2%) e del Trasporto e magazzinaggio (2,0%). In particolare, i lavoratori del settore della Sanità (che per effetto della pandemia hanno addirittura aumentato la loro esposizione al rischio), non essendosi mai fermati e avendo anzi dovuto effettuare prestazioni lavorative aggiuntive straordinarie, non solo hanno il tasso più alto ma sono anche gli unici a mostrare un tasso di infortunio più elevato rispetto al 2013. .
In conseguenza del ridotto numero di ore lavorate e delle diverse condizioni di lavoro determinate dalla pandemia, tutti gli altri settori hanno visto una riduzione del rischio di infortunio. I settori con percentuali superiori alla media (Trasporto e magazzinaggio, Costruzioni, Agricoltura e Industria in senso stretto), che nel 2013 rappresentavano quelli più esposti, hanno infatti registrato una riduzione del rischio infortunio intorno al 30-45%. I settori che nel 2013 mostravano tassi più contenuti, come gli Alberghi e ristoranti e i Servizi collettivi e personali, hanno avuto invece riduzioni del rischio superiori al 50%.

 

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