Salario minimo: ecco com’è la situazione in Europa

Di Redazione FinanzaNews24 6 minuti di lettura
Economia

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La questione del salario minimo è diventata incandescente negli ultimi tempi in Italia a causa dell’elevata inflazione che ha ridotto il potere di acquisto dei lavoratori e dell’abolizione da parte del governo Meloni di una parte del reddito di cittadinanza. Nel nostro Paese il problema è particolarmente sentito rispetto all’Europa in quanto i salari sono rimasti bassi in rapporto a ciò che è richiesto per mantenere alta la qualità della vita.

Ma com’è la situazione negli altri Paesi europei? In 21 su 28 membri dell’Unione Europea è stabilito un livello minimo di retribuzione per i lavoratori; mentre in Italia, Danimarca, Finlandia, Svezia, Cipro e Austria le regole sul salario sono determinate dalla contrattazione collettiva (CCNL). La caratteristica che accomuna questi ultimi sei Paesi è la forte influenza dei sindacati, che negli anni hanno posto una certa resistenza affinché si potesse legiferare per un salario minimo.

Uscendo dall’UE, anche in Svizzera non esiste un salario minimo nazionale, ma solo in alcuni Cantoni. Tuttavia, da dicembre 2022 il Parlamento elvetico ha stabilito con una legge la prevalenza del contratto collettivo di settore rispetto alle norme territoriali sulla retribuzione minima. In Gran Bretagna, invece, il salario minimo è in vigore dal 1998 e, come vedremo, abbraccia tutte le categorie di lavoratori.

Salario minimo: il caso italiano

In Italia si sta discutendo animatamente oggi a livello politico se introdurre o meno un salario minimo, con le forze di opposizione che stanno facendo pressione affinché venga attuata una legge che stabilisca una paga base di 9 euro lordi l’ora per tutti i lavoratori. A differenza delle pensioni, dove per legge esistono livelli minimi, una soglia per i salari ancora non c’è dal momento che il 98% dei lavoratori e il 99% delle aziende sono coperti dalla contrattazione collettiva (dati del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, o CNEL).

Ogni contratto però ha dei minimi retributivi, quindi in teoria si potrebbe obiettare che un salario minimo per la gran parte in Italia già esista. Nella pratica però non è così perché la stipula di contratti collettivi non è obbligatoria e vi sono diverse imprese e tipologie di lavoro che non sono coperte da alcuna contrattazione di riferimento. Oltre questo, c’è da rilevare che i salari stabiliti dalla CCNL in Italia sono troppo bassi rispetto alla media europea. Basti pensare che, secondo i dati forniti dall’Eurostat, nel 2021 in media le retribuzioni lorde annue minime per ogni lavoratore ammontavano a 27.404 euro, mentre nell’Eurozona risultavano di 37.382 euro.

I primi approcci al salario minimo si sono avuti nel 2014 con la legge n.183, conosciuta come Jobs Act, che all’art. 1, comma 7, lettera g) prevedeva un compenso orario minimo per quelle categorie di lavoratori non coperte da contrattazione collettiva. Il decreto attuativo a tale legge non è mai stato eseguito, anche per la forte opposizione dei sindacati che vedevano scivolare il loro potere di azione. Nel 2018 furono avanzati due disegni di legge: uno da parte del Partito Democratico che chiedeva l’introduzione di un salario minimo orario di 9 euro netti; un altro dal Movimento 5 Stelle che optava per i 9 euro ma lordi. Tuttavia, queste due proposte ancora giacciono in Parlamento.

Oggi la discussione ha catturato nuovamente le luci della ribalta, con il governo che ha convocato le forze di opposizione per affrontare l’argomento. Le distanze però sono ancora marcate. La principale preoccupazione degli alleati della maggioranza è che il salario minimo finisca per ridurre l’occupazione perché le imprese non sono in grado di sostenere un carico retributivo così elevato a causa della forte componente fiscale e contributiva nelle buste paga. Nel contempo, la strada che stabilisce per legge una retribuzione minima finirebbe per agevolare il lavoro in nero, non risolvendo quindi il problema delle paghe basse e comportando un danno effettivo per l’Erario.

Salario minimo: il caso tedesco

Il salario minimo in Germania è stato inserito nell’ordinamento nel 2014 attraverso l’approvazione della “Legge di sostegno alla contrattazione collettiva”. Prima di allora, la situazione lavorativa tedesca era simile a quella italiana, ossia dominata dalla contrattazione collettiva che stabiliva le regole a livello retributivo. La misura del salario minimo in vigore dal 1° gennaio 2015 è fissata a 8,5 euro l’ora e riguarda tutti i lavoratori subordinati occupati in Germania e quelli di imprese tedesche operative in altri Paesi europei che hanno la maggiore età.

Viceversa, gli under 18 che non hanno una qualifica professionale e gli apprendisti (non giudicati lavoratori dipendenti dalla legge tedesca) non sono coperti da alcun salario minimo. Ogni


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