Bisogna intervenire nella riforma delle pensioni entro la fine di questo 2021 per evitare lo scalone di fine anno quando scade l’opportunità di pensionamento della quota 100: i quasi pensionati sono in bilico e incrociamo le dite per una futura riforma che renda il sistema equo (pensioni adeguate e ben distribuite) e sostenibile (in termini di spesa pubblica), ma anche efficiente e di lungo periodo (diverse regole sono state in vigore ultimamente)
La riforma sembra dunque assumere la forma di cifre e proiezioni, prima ancora che delle agende politiche, in questa fase prematura. I sindacati, ad esempio, spingono per Quota 41, che secondo l’Inps sarà molto onerosa per il sistema previdenziale, mentre per l’Osservatorio pensioni Cgil e Fondazione Di Vittorio sarà la più sostenibile.
Dopo i vari interrogativi e le varie proposte arrivano anche le analisi su chi ha deciso di beneficiare della quota 100 nell’ultimo anno. Dai risultati del rapporto INPS sui servizi erogati nell’ultimo anno ( analizzando la platea degli utilizzatori effettivi e di quelli che, pur avendo i requisiti, hanno preferito restare al lavoro) si delinea il quadro di chi sono realmente i potenziali beneficiari della formula alternativa: La quota 100 è stata utilizzata principalmente da uomini di reddito medio-alto e con una percentuale più alta nel settore pubblico. Se, al contrario, ci limitiamo ai dipendenti del settore privato, allora, oltre a genere e reddito, gioca un ruolo fondamentale anche la salute negli ultimi anni di carriera.
In pensione nel 2020 con una quota 100 sono stati: 35% donne, 41% dipendenti privati, 38% pubblici e 9% autonomi. Il 7% ha ricevuto sussidi di disoccupazione per almeno 12 settimane all’anno prima del pensionamento. Gli uomini che hanno aderito alla Quota 100 hanno mostrato redditi più alti delle donne (ma inferiori a quelli che non sono andati in pensione, sebbene potessero). Se il campione fosse limitato ai dipendenti, il divario di reddito tra uomini e donne che hanno optato per una quota di 100 scomparirebbe. Le donne che hanno scelto la quota 100 sono lavoratrici che non raggiungono la media italiana, lavorano di più e hanno salari più alti. La differenza tra pensionate (relativamente più ricche) e donne nel campione di controllo è del 20%: le donne che scelgono la una quota di 100 sono caratterizzate da un’attività lavorativa molto intensa, in base al numero di settimane di contribuzione obbligatoria, lavorano più delle donne che non si pensionano e più degli uomini (in questo caso, con una differenza media annuale di due settimane l’anno). I possibili beneficiari rimasti al lavoro (campione di controllo), nonostante i requisiti per aderire con Quota 100, erano dipendenti del settore privato (30%) e pubblico (21%) e lavoratori autonomi (28%).