Secondo le stime INPS, la Quota 41 costerebbe 4,3 miliardi nel 2022 e 9,2 miliardi alla fine del decennio.
La proposta che sembra avanzare è quella volta a “costruire, eventualmente con gradualità ma in un’ottica strutturale, un sistema di uscita anticipata che converga su una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro”. Una soluzione alternativa alla quota 41 sembra essere quella di estendere la possibilità di andare in pensione a 64 anni anche a coloro ai quali si applica il sistema misto e non solo a coloro che risiedono nel puro contributivo (cioè hanno iniziato a lavorare dal 1996). Con la cosiddetta Quota 102, si consentirebbe di andare in pensione con 64 anni anni e 38 ani di contributi senza penalizzazione sul calcolo. Oppure introducendo un paletto in questo senso per ridurre i costi.
Per la Corte dei Conti l’andamento della spesa previdenziale “potrà rappresentare un rilevante elemento critico per i conti pubblici” e Quota 41 al posto di Quota 100 potrebbe costituire un problema di sostenibilità della spesa nel lungo periodo. Stando alla fotografia del Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica:
- dal 2012 al 2020, periodo di tempo in cui è stata in vigore la Riforma Pensioni Fornero, il sistema delle deroghe ha portato ad oltre 711mila pensionamenti anticipati, comprese le salvaguardie degli esodati;
- escludendo 79.260 pensioni liquidate nello stesso periodo con l’APe Sociale e volontario, questi trattamenti hanno pesato per il 18,7% sul totale delle pensioni erogate, con un picco del 33,7% nel biennio 2019-2020 per via di Quota 100 che ha portato ad un risultato pari del -12% su quello registrato fino al 2018.
La partita della Riforma Pensioni si giocherà sul campo dei costi, piuttosto che sulla garanzia di flessibilità di uscita dal mondo del lavoro. La UE ha concesso all’Italia 14 miliardi extra di fondi del Recovery Plan, ma la priorità è di ridurre la spesa pensionistica.