AGI – Ad affermarlo è l’ultimo rapporto Clusit 2021: le aziende italiane, PMI incluse, stanno vivendo una vera e propria ‘cyberpandemia’. Si parla di un aumento del 78% nel numero di attacchi informatici negli ultimi quattro anni, siamo a un +15% solo per il 2020, il che significa un attacco informatico grave ogni 5 ore.
Effetti collaterali dell’emergenza da coronavirus che ha portato miliardi e miliardi di dati sensibili sui computer domestici, rendendo più vulnerabili e più estesi i confini da “difendere”. Ed è stata proprio la pandemia a far crescere l’attenzione delle aziende verso la Cyber Protection. Stando a un recente report Alvarez&Marsal volto a stimare i cambiamenti indotti dal covid sulle vendite in Europa, si apprende che l’80% delle aziende nei prossimi anni considererà strategico investire in cybersecurity.
La sicurezza informatica quindi come asset aziendale, ma anche come pedina che si inserisce nel quadro del dibattito sull’indipendenza tecnologica. A che punto è l’Italia in questo percorso? Ne abbiamo parlato con Nicola Mugnato esperto di cyberecurity e fondatore insieme a Gian Roberto Sfoglietta e Andrea Storico, di Gyala. Gyala è una startup romana, nata nel 2017, che ha una particolarità che la rende unica in un settore dominato dai big americani: produce software completamente Made in Italy di Cyber Protection.
Cosa significa creare prodotti per la cybersicurezza 100% italiani?
Essenzialmente due cose: da primo portare la fortissima competenza e la brillante genialità che contraddistingue la ricerca e l’imprenditoria italiana in un settore dominato da superpotenze estere e, secondo, realizzare soluzioni nazionali che ci consentano di uscire dal gioco tecnologico straniero.
La Cyber Protection Made in Italy concorre a formare quella filiera del digitale italiano di cui tanto si parla? In che
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