Diventato famoso con il nome del “quiet quitting”, questo è un fenomeno dilagante che sta colpendo il mondo del lavoro soprattutto nella fase di ripartenza post Covid.
Significato di “quiet quitting” ovvero “dimissioni silenziose”
La pandemia, l’inflazione, la guerra, l’incertezza politica stanno mettendo il mondo e i suoi abitanti a dura prova e così scatta il fenomeno: i lavoratori si impegnano al minimo, il tanto che basta per non perdere il posto. Non è noia o depressione, le persone cercano un nuovo equilibrio tra vita personale e lavoro e vogliono proteggere la prima anche a discapito della seconda. Aumenta il ricorso al part-time come anche sottolinea il Rapporto dell’ Osservatorio sul Precariato INPS.
Si legge sul documento:
“Per quanto riguarda le tipologie orarie il confronto tra il secondo trimestre del 2022 e quello corrispondente del 2021 registra un aumento consistente per il part time verticale (+22%) mentre risulta in flessione il part time misto (-2%). Le trasformazioni da tempo determinato nel primo semestre 2022 sono risultate 377.000, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2021 (+74%). Nello stesso periodo le conferme di rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo – pari a 61.000 – risultano essere aumentatedell’11% rispetto all’anno precedente.
Le cessazioni nei primi sei mesi del 2022 sono state 3.322.000, in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+36%) per tutte le tipologie contrattuali: contratti stagionali (+64%), contratti intermittenti (+57%), contratti in apprendistato (+34%), contratti a tempo determinato (+33%), contratti a tempo indeterminato e contratti in somministrazione (+31%).
Perché ci si licenzia o si viene licenziati?
Analizzando le cessazioni dei contratti a tempo indeterminato, si evidenzia un forte aumento nel primo semestre 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021 dei licenziamenti di natura economica e disciplinari (rispettivamente +121% e +36%). Ma, per contestualizzare questa dinamica, occorre ricordare che fino al 30 giugno 2021 (per gran parte dell’industria) o fino al 31 ottobre 2021 (per il terziario e il resto dell’industria) i licenziamenti economici erano bloccati dalle normative specifiche introdotte nel 2020- Il più pertinente confronto con il 2019 per i licenziamenti economici rileva una contrazione (circa 50.000 licenziamenti in meno sia rispetto al 2018 che al 2019: -21%). In continua crescita, invece, dopo la modesta flessione del 2020, risultano i licenziamenti disciplinari (poco più di 60.000 nel primo semestre 2022, circa un terzo in più rispetto al corrispondente semestre 2019).
Le dimissioni registrano un consistente incremento nel primo semestre 2022 (+22% e +28% rispetto ai corrispondenti periodi del 2021 e del 2019). Il livello raggiunto (oltre 600.000 dimissioni nel primo semestre 2022) sottende il completo recupero delle dimissioni mancate del 2020, quando tutto il mercato del lavoro era stato investito dalla riduzione della mobilità connessa alle conseguenze dell’emergenza sanitaria.