Coloro che ereditano non sono tenuti a pagare le sanzioni fiscali del congiunto passato a miglior vita. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n 6500/2019
In questa ordinanza si è chiarito che, poiché le sanzioni pecuniarie amministrative previste per la violazione delle norme tributarie hanno carattere afflittivo, non si trasmettono agli eredi.
E’ già stato affermato da questa Corte che le sanzioni pecuniarie amministrative previste per la violazione delle norme tributarie hanno carattere afflittivo, onde devono inquadrarsi nella categoria dell’illecito amministrativo di natura punitiva, disciplinato dalla I. 24 novembre 1981 n. 689, essendo commisurate alla gravità della violazione ed alla personalità del trasgressore, con la conseguenza che ad esse si applica il principio generale sancito dall’art. 7 della legge n. 689 cit., secondo cui l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi(Cass. civ. sez. V., 28/05/2008, n.13894; Cass. civ. sez V 15.10.2018, n. 25644).
Nel caso esaminato si parlava di un inesatto o mancato versamento dell’IMU da parte del de cuius con riferimento ad un terreno edificabile. I figli del proprietario defunto che aveva pagato l’imposta come se l’appezzamento fosse agricolo hanno presentato ricorso in Cassazione opponendosi all’atto impositivo dopo che la Ctp e la Ctr Roma avevano dato ragione al Fisco. Di diverso avviso la sezione tributaria della Cassazione, che ha accolto il ricorso degli eredi.
Per quanto concerne il pagamento dell’Imposta IMU, i giudici della Corte di Cassazione hanno infatti confermato l’interpretazione delle Entrate:
Ai fini dell’applicazione dell’ICI (oggi IMU n.d.r.), è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo; ciò determina quella che può considerarsi una vera e propria “impennata” di valore rilevante ai fini fiscali (cfr. Cass. s.u. n. 25506/2006 cit.; Cass. sez. V n. 4952/2018).