(Money.it) La guerra in Ucraina assomiglia sempre più a una autentica sciarada, con lo spettro di un conflitto mondiale o nucleare sempre dietro l’angolo, ma l’Italia nonostante l’assoluto atlantismo dei governi Draghi prima e Meloni poi, potrebbe faticare non poco a rispettare l’impegno preso in sede Nato di aumentare la propria spesa militare fino al 2% del Pil.
L’auspicio del segretario generale della Nato Jens Stoltenmberg è che “il 2% del PIL sia il minimo per quanto riguarda le spese in difesa”, con l’Alleanza atlantica che si riunirà il prossimo 11 e 12 luglio a Vilnius – in Lituania – per decidere il da farsi in merito alla guerra in corso da oltre sedici mesi.
L’Italia quando nel 2014 – anno dell’inizio della guerra civile nel Donbass e dell’annessione della Crimea da parte della Russia – ha sottoscritto l’impegno di portare al 2% del Pil la propria spesa militare, spendeva per la difesa l’1,14%.
L’aumento negli anni c’è stato senza però quel salto di qualità auspicato da Washington: nel 2022 al momento dello scoppio della guerra in Ucraina, l’Italia ha speso l’1,51% del Pil per una spesa totale stimata da Milex in 25,7 miliardi.
Nel 2023 invece l’Italia dovrebbe arrivare a spendere 26,5 miliardi – 800 milioni in più rispetto allo scorso anno – un incremento non da poco ma ancora insufficiente per arrivare nel 2024 al 2% del Pil come auspicato dalla Nato.
L’Italia e la difficoltà di aumentare le spese militari
L’obiettivo del 2% è stato più volte ribadito dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal ministro della Difesa Guido Crosetto; senza però un assist da parte di Bruxelles, ovvero permettere di svincolare le spese militari dai lega
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