Le imprese e la cessione di opere d’arte: come gestirle al meglio evitando spiacevoli sorprese

Di Barbara Molisano 2 minuti di lettura
Arte

Con l’Ordinanza n. 1603 del 16 gennaio 2024, la Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato la questione della tassazione delle cessioni di opere d’arte, delineando chiaramente i casi in cui si configura il reddito d’impresa.

La Corte di Cassazione ha confermato che per definire un’attività come imprenditoriale non è necessario che vi sia un’organizzazione strutturata in forma d’impresa, ma è sufficiente che l’attività economica venga svolta abitualmente e con regolarità.

I diversi profili: mercante d’arte, speculatore e collezionista

La sentenza ha ribadito la distinzione tra mercante d’arte, speculatore occasionale e mero collezionista. Il mercante d’arte viene definito come colui che professionale e abitualmente si occupa del commercio di opere d’arte per trarne profitto, mentre il speculatore occasionale è chi acquista opere per rivenderle saltuariamente.

Il collezionista, invece, si distingue per la sua finalità culturale e estetica nell’acquisto delle opere, senza fini speculativi. Le cessioni di opere d’arte da parte di un vero collezionista non sono soggette a tassazione, poiché mancano i requisiti di abitualità e intento speculativo.

I segnali di un‘attività d’impresa

La Corte ha sottolineato che elementi come il numero di transazioni, gli importi, i soggetti coinvolti e la varietà dei beni ceduti sono indicatori significativi dell’abitualità e professionalità dell’attività d’impresa. Inoltre, il fatto che il profitto sia stato reinvestito in beni anziché denaro non esclude la tassazione, poiché comunque si verifica un arricchimento del patrimonio personale.

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