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I fattori produttivi delle imprese sono stati tradizionalmente suddivisi in terra, lavoro e capitale. Con il termine terra vengono indicate le risorse naturali utilizzate nel ciclo produttivo. Organizzando questi fattori l’imprenditore realizza il prodotto, che si tratti di un oggetto o un servizio. Fin qui la teoria. Nella pratica ci sono altri elementi che le imprese consumano e che solo da pochi anni vengono presi in considerazione. Per esempio gli effetti negativi che il ciclo produttivo o i prodotti hanno sull’ambiente.
Duncan Lamont, responsabile Strategic research ed Hettie McCarthy, analista quantitativo di Schroders Systematic Investments hanno realizzato una ricerca sulle aziende quotate sui principali mercati azionari e sono giunti alla conclusione che “in molti casi, i profitti aziendali subirebbero un duro colpo se l’impatto finanziario delle imprese sull’ambiente e sulla società fosse a carico delle imprese stesse”.
I mercati azionari con le imprese che generano più esternalità
L’impatto dell’attività d’impresa sull’ambiente entra sempre più spesso nei criteri di selezione degli asset manager. “È importante valutare quanto le opportunità e i rischi si riflettano già nei prezzi delle azioni” spiegano Lamont e McCarthy che però ritengono che escludere dall’investimento le società che inquinano di più non sia sempre la soluzione migliore per la società, in quanto non si impedisce lo svolgimento di attività dannose. “Riteniamo fermamente nell’importanza dell’azionariato attivo, influenzando le aziende in cui investiamo per ottenere risultati migliori per la società e gli azionisti” affermano.
Ma quali sono i mercati azionari che hanno un maggiore tasso di esternalità? L’analisi di Schroders, condotta su 20 maggiori mercati azionari, premia gli indici di Spagna, Germania e Danimarca mentre boccia Regno Unito e Paesi Bassi.
Se nei profitti aziendali delle imprese quotate venissero incluse anche le esternalità, dai calcoli di Schroders risulterebbe un effetto positivo del 3,3% per le società spagnole, dell’1,6% per quelle tedesche e dell’1,5% per quelle danesi. Per contro l’impatto sugli utili delle società olandesi sarebbe negativo per oltre il 15% e su quelle del Regno Unito del 13%. “Un dato del 3,3% per il mercato spagnolo significa che, in aggregato, le società quotate hanno un effetto positivo non riconosciuto sulla società pari al 3,3% del loro fatturato. In prospettiva, le previsioni di consenso indicano che i margini di profitto delle imprese spagnole saranno dell’11,3% nei prossimi 12 mesi. Ma se queste esternalità positive si concretizzassero in termini finanziari, la percentuale salirebbe al 14,6%. In termini monetari, per ogni 100 euro di ricavi, gli utili sarebbero di 14,60 euro e non di 11,30 euro, con un aumento del 29%” spiegano gli analisti di Schroders.
Purtroppo per l’ambiente e la società (intesa come società di esseri umani e non come impresa), solo in sei dei 20 mercati azionari analizzati le esternalità sono positive. Tra questi figura anche quello italiano, in sesta posizione.
Variazione dei profitti se il costo/beneficio finanziario delle esternalità delle aziende si riflettesse sul conto economico dell’anno prossimo – Fonte: Schroders. Dati al 31 luglio 2023
Ecco perché olandesi e inglesi sono in fondo alla classifica
I risultati ottenuti dai mercati azionari presi in considerazione dallo studio di Schroders sono influenzati dalle composizioni settoriali che li caratterizzano. Per esempio, la Spagna ha grandi società di servizi (utility) e telecomunicazioni che forniscono servizi preziosi per la società: acqua potabile, fognature, servizi igienici. L’impatto di questi servizi sulla società e sull’ambiente è positivo e, anche se alcuni servizi hanno un impatto negativo sull’ambiente, il bilancio delle esternalità è positivo.
Un altro esempio che aiuta a capire il tema delle esternalità è quello della Danimarca. Occupa la terza posizione nel
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