Immunoterapia: no é il Santo Graal per le cure per i tumori

Di Valentina Ambrosetti 4 minuti di lettura
Wall Street

Un gruppo di oncologi italiani, alcuni attivi fra la Penisola e gli Stati Uniti, sono gli autori di una lettera scientifica pubblicata su ‘Lancet Oncology’ a commento di alcuni studi che hanno testato farmaci inibitori dei checkpoint immunitari (Ici) nel trattamento del mesotelioma refrattario.

Secondo gli esperti non bisogna guardare all’immunoterapia come “al Santo Graal” per la cura dei tumori ma é “una novità che ha arricchito l’arsenale di munizioni contro il cancro. Nella comunicazione dei risultati che produce contro alcune neoplasie va quindi usata cautela per non generare false speranze, e bisogna evitare “approvazioni affrettate” che rischiano di produrre più danni che benefici.

Gli oncologi firmatari della lettera sono: Pierpaolo Correale, Francesca Pentimalli, Valerio Nardone, Antonio Giordano, Luciano Mutti, la cui analisi parte da un articolo che riporta i risultati del trial di fase 3 Confirm su nivolumab, prosegue ricordando anche lo studio Promise sul pembrolizumab e conclude spiegando che, “nell’impostazione di seconda linea per il mesotelioma, non ci sono dati a sostegno del fatto che nivolumab o pembrolizumab come agenti singoli funzionino meglio della chemioterapia convenzionale (anche subottimale)”.

Mutti, presidente del Gruppo italiano mesotelioma (Gime) e Adjunct Professor Temple University e Sbarro Health Research Organization (Shro), Usa, in una comunicazione Shro, afferma:“Senza dubbio” quello dello studio Confirm “è un disegno piuttosto unico. Per il braccio di controllo in primo luogo, perché i pazienti in trattamento con nivolumab vengono confrontati con pazienti ai quali è stato somministrato placebo. Ciò solleva una profonda preoccupazione etica, perché è chiaro che a un gruppo di pazienti è stato negato qualsiasi trattamento. Non sorprende che nivolumab sia leggermente superiore al placebo ma un disegno dello studio scientificamente valido avrebbe dovuto confrontare nivolumab con il trattamento standard di seconda linea”.

Correale, direttore Unità Oncologia medica Grande Ospedale metropolitano Bianchi Melacrino Morelli, Reggio Calabria, afferma: “nessuno degli attuali trattamenti in questo ambito è superiore (in particolare Ici vs chemioterapia), perché la sopravvivenza dei pazienti ai diversi regimi terapeutici considerati è la stessa. Ciò nonostante siamo costernati nel notare come i risultati siano spesso distorti e fuorvianti. Questo è irrispettoso verso i pazienti e verso la verità”.

Giordano, direttore Sbarro Insitute for Cancer Research and Molecular Medicine Temple University e docente all’Università di Siena, afferma: “E’ chiaro che la procedura per l’approvazione di nuovi farmaci necessita di una rivisitazione.In particolare le approvazioni ‘fast track’ devono essere seguite da solidi studi di conferma, altrimenti il rischio di ritiro ritardato (sempre che avvenga) finisce per danneggiare i pazienti esposti a tossicità inutile. D’altra parte approvazioni affrettate obbligano i sistemi sanitari a sostenere l’urto di costi esorbitanti dei nuovi farmaci antitumorali. Se si considera che a volte le approvazioni precipitose influenzano le linee guida e alcuni Paesi (come l’Italia) fanno riferimento alle linee guida quando un medico viene chiamato in causa per negligenza, diventa facile capirequanto sia fondamentale attenersi alle evidenze scientifiche di sperimentazioni cliniche concepite nell’ottica di rispondere ai bisogni dei pazienti”.

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