Nuovi aiuti per il settore del riciclaggio e del degrado della plastica? Potrebbe provenire dalla saliva del verme della cera, un parassita dell’alveare. Federica Bertocchini, ricercatrice del Centro di ricerca biologica di Madrid e apicoltore, lo ha scoperto nel 2017, aprendo le porte a un nuovo studio del settore. Insieme ai colleghi del centro spagnolo Bertocchini, ha indagato le basi di questa capacità, individuando per la prima volta due enzimi in grado di agire sui polimeri plastici in poche ore a temperatura ambiente.
Scoperta del degrado della plastica che potrebbe rivoluzionare il riciclaggio
Nello specifico, durante il lavoro, sono state vagliate fino a 200 proteine presenti nella saliva dell’insetto, e successivamente ne sono state identificate due che potrebbero “mangiare” il polietilene. “Questo studio suggerisce che la saliva degli insetti può [essere] una deposizione di enzimi degradanti che potrebbero rivoluzionare il campo del biorisanamento”, hanno spiegato gli scienziati, il cui lavoro è stato pubblicato su Nature Communications.
Ad oggi, solo pochi microrganismi sono noti per la loro capacità di scomporre le macromolecole rigide che compongono il polietilene. E nella maggior parte dei casi è necessario un pretrattamento particolarmente aggressivo per facilitare il compito.
“Affinché la plastica si decomponga, l’ossigeno deve penetrare nel polimero”, spiega Bertocchini. “Questa è la prima fase dell’ossidazione, che di solito è il risultato dell’esposizione alla luce solare o alle alte temperature, e rappresenta un collo di bottiglia”, rallentando il processo in condizioni ambientali “normali”.
Specialmente per composti resistenti, ad esempio a base di polietilene
La scoperta di uno scienziato, del tutto accidentale, però, apre le porte a un nuovo passo avanti. Il team ha analizzato la saliva del parassita utilizzando la microscopia elettronica e ha isolato le proteine di due enzimi specifici appartenenti alla famiglia delle fenolo ossidasi: Demetra e Cerere. Il primo ha un notevole effetto sul degrado della plastica, formando rapidamente una serie di fori sulla superficie. Anche la seconda proteina ossida rapidamente il polimero, ma non lascia tracce visibili ad occhio nudo. Questo, spiega il centro di ricerca, è “il primo e unico enzima conosciuto in grado di degradare il polietilene plastico ossidando e scomponendo il polimero molto rapidamente (dopo ore di esposizione), senza richiedere un trattamento preventivo e operando a temperatura ambiente”.