Il settore lusso made in Italy deve risorgere: le aziende nostrane più green e più artigianali

Di Antonia De La Vega 3 minuti di lettura
Wall Street

Il 2021 ha mostrato segnali positivi, superiori alle aspettative, e gli studi che hanno analizzato i dati  confermano che il settore del lusso potrà tornare ai livelli pre-crisi entro il 2022.

Il settore lusso ha mostrato resilienza, ma soprattutto ha saputo rispondere prontamente ai nuovi trend socio-culturali: il passaggio a un sistema “digital first”, principalmente una struttura distributiva sempre più multicanale, una crescente sensibilità al posizionamento a valore dei brand, in termini di sostenibilità e inclusione, nonché una personalizzazione sempre più sofisticata dell’esperienza di acquisto. Nei primi nove mesi del 2021, Asia e Nord America hanno visto la ripresa più grande dall’annus horribilis 2020, la ripresa più lenta (e più di dieci punti percentuali) in Europa. A pesare sul settore era la mancanza di turisti in primis, soprattutto dalla Cina. Gli Stati Uniti e la Cina possono contare su mercati interni più ampi.

Tra le grandi multinazionali, la prima è l’italiana europea con sette aziende (Prada, Calzedonia, Giorgio Armani, Moncler, Otb, Max Mara e Zegna) e delle 134 aziende italiane oggetto del rapporto, il 2021 dovrebbe chiudersi con un fatturato consolidato di +22%: quest’anno è previsto un ritorno ai livelli pre-Covid, con il tessile che ha già superato il 2019 e risulta essere la categoria di settore con il margine migliore (6,9%). Cinquantanove aziende su 134 possiedono immobili con uffici all’estero, generano il 38,5% del fatturato totale e registrano trend anche in termini di vendite.

L’eredità delle aziende italiane resta il loro artigianato, quell’alto artigianato che in alcuni casi crea anche il 95% degli articoli di lusso, così come la solidità delle aziende di medie dimensioni forti nelle loro nicchie di eccellenza. La pandemia ha evidenziato anche i rischi di una forte dipendenza dai fornitori per il 61% delle aziende globali intervistate, con punte del 90% per il fast fashion.

Il Made in Italy si schiera anche per lo sviluppo sostenibile e per le pari opportunità. Diminuiti le emissioni e i consumi nel 2020 a causa dei blocchi della produzione, ma il cambio di ritmo è supportato dai dati storici, con più rapporti di sostenibilità pubblicati e dati molto più completi. A parte la pandemia, se guardiamo all’evoluzione delle emissioni in percentuale della fatturazione, vediamo che il consumo di acqua è diminuito del 13%, mentre la quota di energia da fonti rinnovabili è aumentata vertiginosamente, dal 42,8% del 2018 al 57,6% nel 2018. 2020. Meno positiva è stata la crescita della presenza femminile nelle posizioni di leadership aziendale, con la quota più alta negli Stati Uniti (37,9%) rispetto all’Europa (32,5%) e purtroppo l’Italia si ferma al 27,5%.

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