I buoni pasto vengono accettati sempre meno per fare la spesa e talvolta si è costretti a pagare delle piccole commissioni per poterli usare

Di Antonia De La Vega 3 minuti di lettura
Buoni Pasto

Sempre meno commercianti accettano buoni pasto a causa delle commissioni elevate. Il governo dovrebbe consentire alle aziende di investire questi soldi direttamente nei salari dei lavoratori senza perdere i benefici fiscali

Da diversi mesi sempre meno bar, ristoranti, osterie e supermercati accettano i buoni pasto oppure ci sono restrizioni crescenti per loro utilizzo: ad esempio sul numero massimo ( non più di 8), sui giorni della settimana in cui possono essere utilizzati ( non di sabato) e nel peggiore dei casi occorre pagare piccole commissioni per poterli utilizzare. Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione, Coop e Conad sono da tempo in guerra contro i buoni alimentari  e lo scorso 15 giugno hanno anche organizzato uno sciopero fino a giungere ad un incontro il 29 giugno tra le organizzazioni del settore e il viceministro dell’Economia.

Da questo incontro è nata la proposta di fissare un tetto massimo del 5 per cento alle tariffe di incasso applicate dalle società che emettono voucher agli esercenti quando si tratta di voucher oggetto di gara della pubblica amministrazione. Le commissioni di incasso per gli esercenti che accettano buoni sono mediamente comprese tra il 10% e il 20% del valore del buono: ad esempio, con 10 euro il venditore in pratica ne addebita solo 8. Questa proposta è stata approvata dal parlamento e inserita nella legge di trasformazione del decreto sugli aiuti. Nulla di fatto però  se continua la tendenza dei commercianti a non accettare più i voucher come modalità di pagamento.

Il problema è più complesso e  vale non solo per i buoni pasto per i dipendenti delle ONG (1/3 del totale), ma anche per le aziende private. Occorre chiedere Governo di inserire i voucher alimentari direttamente nella busta paga dei propri dipendenti, senza perdere i benefici fiscali di cui godono i voucher ovvero non devono contribuire ad aumentare il carico imponibile per le tasse in quanto costituiscono costi che il lavoratore sostiene per andare a lavorare. 

Si potrebbe dare al lavoratore una cifra in esenzione fiscale  fino ad un certo valore giornaliero per coprire i costi che si pagano per andare a lavorare: fino a 8 euro, come gli attuali buoni alimentari elettronici, o meglio fino a 10 euro per rendere redditizio il nuovo meccanismo. Infatti, attualmente l’indennità di mensa non imponibile è riservata solo ad alcune categorie di lavoratori ed è fissata a 5,29 euro al giorno. Estendendo il sussidio per la mensa a tutti i lavoratori, i benefici saranno chiari a tutti.

 

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