(BorsaeFinanza.it) Oggi l’etichetta “green” viene appiccicata ovunque e spesso a sproposito. Il mondo del marketing e della comunicazione ne svilisce il significato cercando di far passare per sostenibili prodotti che in realtà non lo sono o lo sono in minima parte. A marzo 2022 la Commissione europea ha svolto un monitoraggio su 344 campagne di comunicazione “green” per scoprire che la metà non avevano nulla a che fare con la sostenibilità. Erano, in altre parole, nulla più che “greenwashing”.
Se per un consumatore orientarsi è difficile, per un investitore alla ricerca di investimenti ESG (che sta per sostenibilità ambientale, sociale e di governance) è quasi impossibile. Si deve fidare dell’etichetta ESG che gli asset manager attaccano ai loro fondi ed ETF. Sono i gestori i responsabili ultimi della sostenibilità degli investimenti che scelgono. Come fanno a evitare il greenwashing? Simon Webber, lead portfolio manager e Isabella Hervey-Nathurst, global sector specialist di Schroders utilizzano tre unità di misura quando si tratta di scegliere quali società inserire nei portafogli di investimento.
Separare i leader climatici dal greenwashing
Gli Accordi di Parigi del 2015 hanno stabilito un obiettivo ben preciso per limitare il cambiamento climatico: l’innalzamento delle temperature non deve superare gli 1,5 gradi rispetto all’epoca preindustriale. I veri leader climatici, di conseguenza, devono avere piani ambiziosi e credibili per la decarbonizzazione delle loro attività. Tuttavia il rischio di greenwashing è sempre presente. “Non è facile andare oltre le dichiarazioni sulla stampa e i titoli dei giornali e scoprire cosa sta effettivamente succedendo a livello aziendale” ammettono i due specialisti di Schroders, che proseguono: “N
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