Gli aspetti positivi dello smart working indagati dal Labour Issues

Di Antonia De La Vega 5 minuti di lettura
smart working

Dopo il boom del Covid 19 si fa il punto  della situazione sui benefici dello smart working grazie a Labor Issues, osservatorio trimestrale sul lavoro di Cida.

Lo smart working per essere produttivo deve essere veicolato attraverso tipologie di contratto di lavoro apposite e gestito attraverso criteri volti a sfruttarne il potenziale e il potere innovativo, o si rischia di rimanere intrappolati nel libro dei flashback dell’emergenza pandemica. L’ Osservatorio trimestrale sull’operato di Cida,  la confederazione dei dirigenti pubblici e privati e delle alte professionalità, fanno un bilancio del lavoro esposto nell’ultimo numero di ‘Labour Issues’, articolo realizzato  in collaborazione con il centro studi Adapt.

Analisi non facile a causa  dell’eterogeneità delle definizioni e dei dati. Il lavoro a distanza ha nomi diversi: lavoro intelligente, lavoro flessibile, telelavoro, compiti a casa, telelavoro. Ogni definizione porta a una diversa rappresentazione del fenomeno; ad esempio, il lavoro intelligente implica un approccio e una gestione manageriale, mentre il lavoro agile è un bias normativo per catturarne le caratteristiche e le regole. Per questo l’Osservatorio Cida-Adapt ha utilizzato diverse fonti: Istat, Eurostat, Eurofound, uno studio di ManagerItalia e valutazioni dell’Osservatorio sul lavoro intellettuale del Politecnico di Milano.

Questa eterogeneità incide anche sull’aspetto quantitativo. Secondo Eurostat, la percentuale di dipendenti che hanno lavorato da casa nel 2020 rispetto al 2019 è aumentata di 8,9 punti percentuali a quasi il 14%. D’altronde, dai dati dell’Osservatorio Politecnico risulta chiaro che la pandemia costituisce un elemento di discriminazione in relazione alla diversa percentuale di lavoratori intelligenti rispetto ai potenziali lavoratori in Italia. Si è infatti passati dal 15% del 2019 al 43,90% di marzo 2020. Da marzo 2020 a settembre 2020 si registra un calo di 10,1 punti percentuali. A partire da settembre 2020, invece, l’incidenza tornerà a salire al 35,70%. Secondo un’indagine di Manageritalia, l’89,8% dei lavoratori che tra settembre e dicembre svolgerà il proprio lavoro da remoto, anche pochi giorni alla settimana, sarà l’89,8%, con il 31,80% dei lavoratori che svolgerà la prestazione a distanza per il 90-100% del tempo.

Il data set presentato permette quindi di descrivere in parte la complessità del fenomeno e le sue conseguenze organizzative e sociali. Non si possono infatti ignorare le possibili conseguenze in termini di rischi psicosociali dell’isolamento o le conseguenze negative legate ad aspetti della relazione e della socialità che hanno profonde conseguenze organizzative, insieme ad enormi potenzialità, di cui giustamente si parla spesso. Dimensioni che incidono anche sul ruolo dei dirigenti, i quali, da un lato, più degli altri, hanno da un lato la possibilità, spesso, di svolgere il proprio lavoro da remoto, ma, dall’altro, vedono tutti gli aspetti organizzativi e rischi legati alla gestione a distanza delle dinamiche aziendali.

Mario Mantovani, presidente di Cida ha affermato: “La necessità di rispondere ai limiti dei contatti e della mobilità ha portato a nuove soluzioni che sono state rapidamente implementate, soprattutto grazie alla chiarezza e all’impegno di molti manager. Ma ora la complessità storica sta riemergendo, soprattutto in Italia: pensare in termini organizzativi, applicare principi chiaramente articolati come obiettivi, risultati, processi, collaborazione, responsabilità sul lavoro. Prevarranno di nuovo le vecchie abitudini calmanti di vedere il lavoro come aggiungere ore, navigare nel luogo, reagire a eventi imprevisti. Le pubbliche amministrazioni stanno perdendo l’opportunità di accelerare il processo di riorganizzazione e digitalizzazione, che è sempre ritardato tra nuove e tediose trattative contrattuali, applicando restrizioni quantitative generali. Ma anche il lavoro privato, ad eccezione delle aziende più strutturate, ritorna alle vecchie abitudini e al tema fuorviante del “privilegio” di dare o non lavorare in modo intelligente. Si tratta di uno sviluppo coerente delle organizzazioni, sfruttando nuove opportunità, comprensibili per l’uso generale e non più classificabili come casi marginali, per migliorare le prestazioni”. 

 

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