(Money.it) La stagione estiva non è ancora iniziata, ma la stagione estiva lavorativa sì. Non si capisce dalle persone che occupano le strade, che prenotano nei locali, nei ristoranti o dal numero di ombrelloni occupati in spiaggia, ma dalle lamentele di chi dice di non trovare lavoratori stagionali. Del lavoro stagionale si parla quasi sempre male e questo perché si dà largo spazio ai datori di lavoro, nella maggior parte dei casi a ristoratori e proprietari di attività dove si consumano bevande e cibo, ma non si ascoltano mai le voci dei lavoratori e delle lavoratrici stagionali.
Il settore del turismo vive di lavoro stagionale, che sia esso di mare o di montagna. In molti casi, più che parlare di lavoratori stagionali, bisognerebbe parlare di “giovani stagionali”. La categoria più a rischio di subire un lavoro stagionale sono donne e giovani. A renderli categorie fragili sono i ruoli subalterni che assumono: cameriere, lavapiatti, cameriere ai piani negli hotel, aiuto cuoco, banconista, tuttofare in spiaggia, animatore e molti altri.
Nella maggior parte dei casi i giovani e le donne stagionali si ritrovano a lavorare per molti ore consecutive con uno stipendio inadeguato. Anche se c’è un contratto firmato, questo il più delle volte è un finto part-time o finto apprendistato che copre un reale orario full time: da 12 ore del contratto a 45-50 ore settimanali nella realtà. Lo stipendio? Ben al di sotto del salario minimo stabilito dal contratto collettivo del settore.
Quello dello sfruttamento dei giovani stagionali è un problema nazionale, perché i giovani under 29 impiegati in lavori stagionali sfiorano il 40% dell’intera forza lavoro del settore turistico. Eppure, di fronte all’ovvietà dei dati, non solo la politica non risponde con una stretta al lavoro stagionale in nero e sottopagato, per esempio aumentando i controlli alle strutture e i locali, ma si permette anche che l’unica narrazione sul tema sia quella delle solite lamentele dei datori di lavoro c
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