AGI – Il telefonino è l’oggetto che teniamo più in mano durante la giornata, secondo solo agli strumenti di lavoro, che poi per molti di noi sono sempre ‘telefonini portatili’. L’anno scorso, causa lockdown, lo abbiamo consultato quanto mai in passato, quattro ore di media durante le ore di veglia, che sono circa 16. Un quarto della nostra vita finisce lì, sul touch screen di uno smartphone.
Nel 2020 si sono moltiplicati i download di app (Facebook, Whatsapp, ma anche TikToc su tutte), gli eventi in streaming che abbiamo seguito sullo schermetto dello smartphone. Partite di calcio o di tennis, concerti, conferenze, riunioni di lavoro, videogame. Il cellulare è più di un device, di un supporto digitale. È una cassetta degli attrezzi sempre aperta, un archivio dove trovare tutto, un negozio con orario continuato e perpetuo, un amico fedele e sempre raggiungibile a cui chiedere consiglio, il peluche con cui dormire (i nostri figli lo nascondono sotto il cuscino per non perdere l’ultima notifica, prima che il sonno demolisca le loro ultime resistenze).
Eppure c’è chi è convinto che lo usiamo, il telefonino, ancora per una minima parte delle sue potenzialità. Un po’ come il nostro cervello. “Fino a ieri lo smartphone era un’arma di distrazione di massa. Il 2020 ci ha insegnato a usarlo come una macchina totale, uno strumento potente. Abbiamo iniziato a fare cose di valore: sul lavoro, nella vita, nelle relazioni. Ora siamo pronti per smettere di restare passivi da
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