Cosa rischia il datore di lavoro in caso di mancato o ritardato pagamento dello stipendi: sanzioni ed eventuali azioni dei dipendenti.
In caso di mancato pagamento o ritardo della retribuzione, il datore di lavoro corre il rischio di incorrere in gravi sanzioni: se non paga la retribuzione entro il mese successivo, infatti, il lavoratore può continuare a lavorare con una diffida, secondo l’Ufficio del Lavoro o con un’ordinanza del tribunale. Non solo: se i depositi INPS perduti superano una certa soglia, c’è il rischio di reato.
In generale, il pagamento della retribuzione deve essere effettuato mensilmente, ma possono essere concordate diverse tempistiche, fermo restando il periodo entro il quale viene assolta la busta paga prevista dal CCNL. Il datore di lavoro se non adempie automaticamente ai suoi obblighi ed è tenuto a pagare gli interessi. Si precisa che tale termine va inteso come la data in cui l’importo sarà disponibile sul conto del dipendente, e non come la data in cui l’azienda organizza il pagamento.
Nella maggior parte dei casi il CCNL prevede il pagamento entro il 10 del mese successivo a quello di assunzione, ma non esiste una norma che si applichi a tutti i contratti collettivi nazionali di questa categoria. In assenza di CCNL si fa riferimento agli accordi aziendali. Se la data di pagamento dello stipendio non è fissata in nessuna di queste fonti, deve essere accreditata alla fine di ogni mese, ovvero 30 o 31.
In caso di ritardo nella retribuzione, il lavoratore può decidere di inviare al datore di lavoro un sollecito di pagamento amichevole tramite posta certificata con ricevuta di ritorno, o anche una lettera con un avviso firmato da un avvocato con avviso di azione legale. Un dipendente potrebbe aver seguito anche il cosiddetto “tentativo di conciliazione monocratico”, volto a sollecitare un’ispezione all’azienda, semplicemente rivolgendosi alla Direzione del Lavoro e presentando esposto all’ispettore. Questo si occuperà poi di coinvolgere l’azienda e di definire la morosità con un incontro tra le parti.
Un’altra possibilità è che il dipendente chieda un decreto ingiuntivo in tribunale, procedura che può essere attivata solo con l’assistenza di un avvocato, presentando il contratto di lavoro. L’ingiunzione viene emessa dal giudice solo sulla base della prova scritta del credito, senza convocare la controparte, viene notificata all’azienda entro i 60 giorni successivi e il datore di lavoro ha poi 40 giorni per fare opposizione oppure pagare (anche interessi e rivalutazione monetaria). Se non intraprende nessuna delle due azioni si procede al pignoramento.