(BorsaeFinanza.it) Vai al contenuto
Cerca
Cerca
Close this search box.
La fatturazione elettronica è stata introdotta in Italia nel 2004, con l’obbligo entrato in vigore nei confronti della Pubblica Amministrazione a partire dal 2007. Sono passati più di dieci anni da allora e nel 2022 l’obbligo è stato esteso a tutte le Partite IVA appartenenti al regime forfettario, ma molti contribuenti continuano ad avere le idee ancora confuse su una distinzione fondamentale per la trasmissione delle fatture digitali: la differenza tra codice SdI e codice univoco.
Codice SdI: cos’è e a cosa serve
SdI è un acronimo che sta per Sistema di Interscambio, ovvero la piattaforma informatica che regola l’invio e l’accettazione delle fatture. Grazie ad esso, l’Agenzia delle Entrate gestisce il flusso delle fatture ricevute in formato XML, le controlla e verifica che i dati inseriti siano corretti. Soltanto a quel punto, le accetta oppure le rifiuta. Il codice SdI è quindi il numero identificativo dell’impresa o del professionista tramite cui si individua in maniera inequivocabile il soggetto che ha emesso la fattura.
Composto da sette caratteri (numeri e lettere), il codice destinatario si usa tra privati, in ambito B2B (Business-to-Business), ovvero tra due imprese, e B2C (Business-to-Consumer), cioè tra imprese ed individui. Specie per soggetti come le imprese che hanno la necessità di far correre la liquidità, il codice SdI rappresenta un mezzo veloce e sicuro per il saldo delle fatture perché – a differenza della PEC, che può essere usata come alternativa – i documenti arrivano direttamente al gestionale collegato all’Agenzia delle Entrate, invece di essere scaricati dalla casella di posta elettronica e poi ricaricati.
Codice univoco: cos’è e come funziona
Il codice univoco riguarda esclusivamente le transazioni elettroniche B2G (Business-to-Government), ovvero la trasmissione delle fatture elettroniche verso la Pubblica Amministrazione. È detto anche CUU (Codice Univoco Ufficio) o IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni) e ha sei cifre invece di sette. Questo codice viene assegnato ad ogni ente o PA al termine del processo di accreditamento al Sistema di Interscambio.
Il codice univoco viene comunicato tramite e-mail dal gestore dell’IPA al referente dell’ente ed è disponibile sul sito dell’AGID, l’Agenzia per l’Italia digitale. Ogni ente pubblico ha un suo codice e può essere rintracciabile sul portale inserendo nel campo di ricerca la sua denominazione, la ragione sociale, il codice fiscale o la categoria. Ad esempio, il Ministero della Cultura ha m_bac per codice iPA e AFA8QQ per la fatturazione elettronica, la Direzione generale Musei ha 91KBB7 come codice univoco, l’Archivio Centrale dello Stato JAD4EF e così via.
Quando l’ente non ha comunicato o indicato al fornitore il proprio codice univoco, il fornitore ha tre alternative: cercarlo sul sito dell’AGID, inserire 999999 nel campo codice IPA oppure bypassare il Sistema di Interscambio e inviare la fattura via PEC se la PA non ha associato codici specifici agli uffici corrispondenti. Nel caso di un soggetto privato sprovvisto di codice destinatario, nella compilazione della fattura si può lasciare questo campo in bianco oppure inserire 0000000 come riferimento. Per soggetti con residenza all’estero, sia nell’Unione europea che extra UE, il codice destinatario è composto da sette X: XXXXXXX.
Qual è la differenza tra codice SdI e codice univoco?
La differenza principale tra codice SdI e codice univoco, oltre alla div
© Borsa e Finanza