Con l’emergenza sanitaria in corso, si parla nuovamente di smart working.
Continuiamo a parlare di smart working in quanto con il nuovo DPCM, il Governo incoraggia l’imprese ad usare questo sistema per evitare che i lavoratori si spostino dalle loro case, così da arginare il pericolo di contagio Covid.
Lo smart working, o comunemente detto “lavoro agile” è stato definito da alcuni atti legislativi, come la legge n. 22 maggio 2017, n. 81 e nonostante questo, ci sono ancora alcune implicazioni non molto chiare, ad esempio i buoni pasto.
Cosa dice la normativa riguardante i buoni pasto
Il Decreto Legislativo n. 122 del 7 giugno 2017, disciplina i buoni pasto per i lavoratori, e chiarisce che l’attività dei buoni pasto è “un’attività destinata a fornire un servizio sostitutivo delle mense aziendali attraverso le imprese convenzionate”.
Pertanto, i buoni pasto possono essere dati ai lavoratori a tempo pieno, part-time o con rapporto di collaborazione subordinato, se non hanno una mensa aziendale a disposizione.
Anche chi non ha diritto al buono pasto, può usufruirne, in quanto è a discrezione del titolare dell’azienda, la decisione di tutti i casi. Il datore di lavoro può decidere se consegnarli o meno, se non previsti nei contratti collettivi, nelle trattative di secondo livello o nelle trattative individuali. Inoltre ricordiamo che:
Ai sensi della Legge n. 81 del 2017, “il dipendente che lavora in smart working, ha diritto a un regime economico e normativo non inferiore a quello generalmente applicabile, in conformità ai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, comma 81, in relazione ai dipendenti che svolgono le stesse funzioni esclusivamente all’interno dell’azienda”.
Pertanto, lo stipendio di un dipendente rimane invariato anche se i buoni pasto non sono menzionati direttamente in questa legge e quindi sono soggetti a molte interpretazioni. Fondamentalmente, spetta a ciascuna azienda decidere se fornire buoni pasto.
Le aziende sono obbligate a fornire i buoni pasto per i lavoratori in smart working?
Le aziende o le amministrazioni, che erogano ai loro dipendenti in smart working, i buoni pasto, lo fanno perché il lavoro agile non significa solo lavorare da casa: un dipendente in una giornata di lavoro può lavorare in una filiale dell’azienda o anche in un’altro tipo di postazione, e quindi avrà bisogno di un buono pasto.
Invece per le aziende e le amministrazioni che non forniscono il buono pasto lo fanno perché il buono pasto viene remunerato direttamente in busta paga: la mancata erogazione dipende dal fatto che il dipendente non abbia un orario preciso da seguire e quindi la pausa pranzo non è considerata.
Fondamentalmente, ogni azienda può decidere se fornire i buoni pasto per chi lavora in smart working: la soluzione deve essere inclusa esplicitamente nel contratto individuale di lavoro che viene negoziato tra l’azienda e i dipendenti.
Quando le aziende sono obbligate a fornire i buoni pasto
Se il lavoratore in smart working è assunto con un contratto CCNL ed è prevista una diversa qualificazione dell’identità di mensa, le aziende sono obbligate ad erogare i buoni pasto.
In dettaglio, quando si conduce la contrattazione collettiva è necessario chiarire che il beneficio della mensa non è un servizio sociale, e assume la forma di pagamento in busta paga.
È il caso, ad esempio, di quei contratti collettivi che riconoscono benefici sostitutivi a tutti i lavoratori, anche a chi non utilizza la mensa. In questo caso, il buono pasto è stabilito integralmente come una sorta di ricompensa: se si verifica questa condizione, ne avrà diritto anche chi lavora in modalità smart working.