Caro Export : Dal Rapporto SACE si delinea il profilo delle esportazioni del Made in Italy tra crisi e rincari

Di Antonia De La Vega 4 minuti di lettura
Made in italy import e export

Un ottimo strumento per le aziende che esportano all’estero prodotti del Made in Itali è il Rapporto sul “Caro Export” di SACE che delinea tra ombre vecchie e nuove per l’economia globale e tra i problemi geopolitici evidenti (una lunga ondata di Covid e problemi di approvvigionamento, insieme a tensioni RUSSIA – UCRAINA) il futuro dell’economia italiana.

Una storia di Export e della resilienza delle aziende Made in Italy

Riportiamo l’esaustiva introduzione al Rapporto: “Prezioso e di grande importanza, come sempre, ma quest’anno anche e soprattutto costoso: questo secondo SACE è “Caro export”, per evidenziare la complessità delle scelte delle imprese italiane legate ai listini delle vendite estere. Le tensioni geopolitiche innescate dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia alimentano nuove ombre sull’economia globale, ancora alle prese con l’onda lunga del Covid e le conseguenti criticità di approvvigionamento delle materie prime. Tra gli effetti di questo scenario in continua evoluzione, in particolare nel contesto europeo, la forte impennata dei prezzi sta gravando sull’operatività delle imprese lungo l’intera filiera del valore e sulla capacità di spesa delle famiglie. Se il “Caro export” spingerà il valore del Made in Italy quest’anno, nel 2023 con le cautele del caso e in un contesto ancora incerto, sarà la resilienza delle nostre imprese a dare impulso alle vendite oltreconfine, grazie anche al supporto sempre più ampio di SACE. In quest’ottica il Rapporto Export vuole rappresentare una guida per le imprese italiane, alla prova delle sfide globali, nella ricerca di mercati – anche di approvvigionamento – per un posizionamento internazionale più solido e diversificato”.

Grazie all’ apprezzamento del dollaro sono favorite le nostre esportazioni fuori UE

Si esporta soprattutto negli Stati Uniti (primo mercato fuori dall’Europa) e in generale nei “paesi della zona del dollaro”, infatti i nostri prodotti risultano a causa della svalutazione del dollaro più economici e stimolano così la domanda. Di contro, l’indebolimento dell’euro si intensifica il costo delle merci importate, che grava pesantemente soprattutto per l’acquisto di materiali primi ministri (i cui prezzi, infatti, sono già aumentano e sono spesso espressi in dollari).

Il notevole aumento dei costi energetici non giova al Belpaese e alle sue produzioni:  l’Italia è infatti un importatore netto materie prime e si ha così un rincaro nei costi di produzione,
riduzione dei profitti aziendali e/o porta a prezzi più alti dopo il processo produttivo.

Le imprese italiane a confronto con principali concorrenti (come la Francia e Germania) devono fare di tutto per restare competitive e lo stanno facendo cercando di garantire una generale tenuta della competitività dei beni Made in Italy

Dal rapporto si legge infatti: “Nonostante proprio le imprese più orientate all’export siano quelle più esposte ai rischi del contesto internazionale, esse sono al contempo quelle generalmente più “attrezzate” in termini di maggiore copertura finanziaria e commodity risk management, e che puntano a diversificare ulteriormente la propria rete di fornitori”.

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