(BorsaeFinanza.it)
Nel 2015 il Parlamento italiano adottò un provvedimento di riforma delle banche italiane imponendo a quelle popolari di trasformarsi in società per azioni qualora subentrassero alcune condizioni. La legge impresse un cambiamento importante nel settore, al punto che storici importanti istituti di credito dovettero modificare la loro struttura giuridica. Ma cosa sono le banche popolari? E cosa ha determinato nel dettaglio la riforma del sistema bancario? Di seguito, tutto quello che serve conoscere sull’argomento.
Banche popolari: caratteristiche e funzionamento
Le banche popolari sono istituti finanziari regolati dagli articoli 29, 30, 31 e 32 del Testo Unico Bancario (TUB), costituiti sotto forma di società cooperative, che in genere operano nel mercato nazionale lasciando ad altre aziende di credito gli investimenti all’estero. La loro distinzione rispetto alle società per azioni può essere riassunta attraverso i seguenti punti:
- limite di possesso, ovvero ogni socio non può superare una partecipazione dell’1% del capitale sociale;
- mutualità, che prevede la maggioranza delle quote detenuta da clienti della banca. Ciò significa che la buona parte dei servizi dell’istituto di credito è offerta ai soci;
- voto capitario, attraverso cui ogni socio è titolare di un singolo voto in assemblea;
- clausola di gradimento, ossia espressione del consenso per l’ingresso di un nuovo socio da parte di un organo sociale specificamente indicato come l’assemblea, il consiglio di amministrazione o l’amministratore delegato.
Le banche popolari hanno da sempre mostrato un’attenzione particolare nello sviluppo del territorio e nell’impegno sociale verso la comunità di riferimento, oltre che un focus sui soci. Al riguardo adottano un modello di business focalizzato su rapporti stretti e duraturi con le famiglie e le piccole e medie imprese del territorio. Ciò ha determinato negli anni l’allargamento della propria base sociale, l’espansione delle attività e la creazione di grandi gruppi bancari di rilievo nazionale attraverso il controllo di altre banche popolari.
La riforma del 2015
La riforma sulle banche popolari è avvenuta con il Decreto Legge 3/2015 convertito nella Legge 33/2015, che ha stabilito l’obbligo per le banche con attivi superiori agli 8 miliardi di euro di trasformarsi in S.p.A. entro la fine del 2016, abolendo il voto capitario. Le alternative erano: la revoca della licenza bancaria e la riduzione del patrimonio al di sotto della quota di 8 miliardi di euro.
Questa riforma parte da lontano. Già all’inizio del decennio scorso, la Banca d’Italia e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato avevano caldeggiato l’opportunità di effettuare un cambiamento riguardo la disciplina delle banche popolari, in rapporto alle caratteristiche di questi enti e al loro impatto a livello territoriale. In particolare si parlava di: innalzare i limiti di possesso azionario, dando maggiori possibilità agli investitori istituzionali; riconoscere agli stessi investitori istituzionali strumenti utili a proteggere il valore del capitale apportato; consentire la libera trasferibilità delle azioni; semplificare la procedura per l’ammissione a socio. Ma soprattutto si era presa seriamente in considerazione la proposta di trasformare in via volontaria la banca popolare in società per azioni, in particolare per gli istituti di credito quotati e di grandi dimensioni.
L’Antitrust inoltre segnalava situazioni problematiche riguardo la governance e la struttura delle banche popolari, mettendo in luce come esse stessero diventando complessi grupp
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