AGI – È allarme sui mercati dopo il balzo del 4,2% dell’inflazione Usa a aprile. Le Borse sono entrate in fibrillazione e sono sull’orlo di una crisi di nervi. Il Nasdaq è quello che rischia l’emorragia più forte, dopo il -2,67% di ieri. In Asia e in Europa da due giorni i listini perdono intorno al 2%. Ma che cosa succede? In realtà è dai primi di marzo e – cioè da circa due mesi e mezzo – che lo ‘spauracchio’ dell’inflazione ha iniziato a salire mettendo in agitazione i mercati. Fed e Bce hanno sempre gettato acqua sul fuoco assicurando che si tratta di “fattori temporanei”.
I mercati però non si fidano. E questo per due ragioni. In primo luogo per il timore che le banche centrali possano avviare prima del previsto il ritiro degli stimoli o riprendere a rialzare i tassi. In secondo, perché l’aumento dei prezzi ha avviato una rotazione importante verso quei titoli che tradizionalmente beneficiano di un aumento dell’inflazione come energetici e materiali da costruzione e a svantaggio, da un lato dei comparti meno esposti al ciclo economico (come sanità e beni di consumo primario) e dall’altro di utility, telecomunicazioni e tecnologici che sono utilizzati come sostituti delle obbligazioni in tempi di bassi rendimenti e che durante la pandemia hanno beneficiato di rialzi eccessivi e ora rischiano un brusco sgonfiamento.
Janet Yellen, una voce fuori dal coro
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