Storico marchio di jeans italiano, Rifle, ha dichiarato fallimento e ora sarà messo all’asta
Uno dei marchi storici del jeans italiano, Rifle, scompare dopo aver dichiarato fallito. La storia di questo marchio nasce in North Carolina a Cone Mills nel 1958, quando i fratelli Giulio e Fiorenzo Fratini, scoprirono il tessuto denim.
L’attuale azienda, con sede a Barberino di Mugello, provincia di Firenze, era in crisi da tempo, ma sembra aver saputo riprendersi nel 2017 con l’apertura di capitale da parte del figlio del fondatore Giulio, Sandro Fratini, alla società di investimento svizzera Kora, che diventò socio di maggioranza l’anno successivo, con il 55% delle azioni.
Il rilancio, sostenuto da qualcuno con esperienza nel settore come Franco Marianelli, che in precedenza aveva lavorato per Guess Italia e Gas Jeans, fece si, che la famiglia Fratini abbandonasse tutte le cariche sociali, mantenendo una quota di minoranza, e il caso fu, che nel 2018 il bilancio si chiuse con un fatturato di 16 milioni di euro e una perdita di 3,3 milioni.
A seguito di una richiesta di accordo con il tribunale di Firenze e di una richiesta di assistenza da parte dei sindacati della regione Toscana, che aprì un tavolo di crisi, il previsto programma di ripresa e ristrutturazione non arrivò lo scorso anno, e così che nella tanto ripresa agognata, il fallimento era oramai un dato certo.
La posizione degli ex dipendenti Rifle
Per i 96 lavoratori della sede di Barberino del Mugello e dei negozi monomarca in tutta Italia, possono solo sperare nel successo dell’asta: “Il tribunale ha ordinato l’esercizio provvisorio per 45 giorni”, spiega Alessandro Lippi di Filctem- Cgil e Gianluca Valacchi di Femca-Cisl, e non appena sarà nominato ufficialmente il curatore fallimentare, chiederanno un incontro per studiare la situazione e cercare di fornire maggiore sostegno finanziario ai dipendenti che sono ora licenziati a causa dell’emergenza sanitaria in corso.
“Cercheremo di testare tutte le opportunità di lavoro”, hanno aggiunto infine i rappresentanti sindacali, “se c’è interesse per il marchio e quindi per l’azienda”.