La Corte di Cassazione ha emesso un’importante ordinanza riguardante il meccanismo del reverse charge, chiarendo le violazioni formali e le relative sanzioni applicabili in caso di mancata adozione di questo sistema contabile.
Violazione formale
Secondo l’ordinanza 27176/2023, la violazione formale del reverse charge si verifica quando il cedente o prestatore omette di emettere l’autofattura o integrare la fattura ricevuta, e di annotare correttamente le operazioni nei registri IVA. Anche se l’IVA può essere detraibile, la mancata adozione del reverse charge può portare a una potenziale evasione di imposta.
Le sanzioni per questo tipo di violazione sono considerate formali e possono essere irrogate anche in presenza di detraibilità limitata dell’IVA. È quindi necessario applicare sanzioni per prevenire violazioni della procedura di inversione contabile e evitare pregiudizi alle attività di controllo.
Sanzioni
Le sanzioni previste per le violazioni formali del reverse charge sono disciplinate dall’articolo 6, comma 9 bis, del Decreto Legislativo 471/1997. Questo prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 2.000 euro per il cessionario o committente che non adempie correttamente agli obblighi connessi al reverse charge.
Se l’operazione non è nemmeno annotata nella contabilità fiscale, si applica una sanzione proporzionale tra il 5% e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro. Inoltre, in caso di indebita detrazione a causa del mancato reverse charge, la violazione assume una connotazione sostanziale e saranno applicate le sanzioni per dichiarazioni infedeli e detrazioni illegittime.