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Nel 2022 ci sono stati pochi rifugi sicuri sui mercati finanziari. L’anno verrà ricordato dagli investitori come quello della “normalizzazione” della politica monetaria con il rialzo dei tassi di interesse, dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, del rialzo dell’inflazione. In questo scenario il risparmio in Italia ha subito dei contraccolpi. Gli investitori istituzionali infatti hanno registrato rendimenti negativi e la previdenza complementare ha subito un vero e proprio smacco rispetto alla rivalutazione del PIL.
Il 2023, tuttavia, racconta una storia diversa come ha sottolineato Brambilla nel Convegno di presentazione del Decimo report annuale sugli investitori istituzionali italiani: “Per la prima volta i rendimenti sono stati fortemente negativi, anche al di là dell’inflazione. C’è stata una perdita di valore. Nel dettaglio tutte le linee, da quelle azionarie a quelle garantite sono state lo scorso anno molto sotto i rendimenti obiettivo. Quest’anno gli ultimi dati che abbiamo processato ci dicono che c’è una buona ripresa. La sfida degli investitori istituzionali e del mercato, quindi degli operatori, sarà quella di offrire strumenti che possano consentire, nell’arco dei prossimi 2, 3 o 4 anni, di poter recuperare il valore che è stato perso senza aggravare eccessivamente il budget di rischio”.
Il TFR batte la previdenza complementare nel breve termine
I dati del Decimo rapporto di Itinerari Previdenziali sugli investitori istituzionali italiani mostra molti segni meno per quanto riguarda gli investimenti legati alla previdenza complementare. In particolare peggio di tutti hanno fatto i PIP unit linked, ossia i Piani pensionistici individuali proposti dalle compagnie di assicurazione e legati all’andamento di asset azionari o obbligazionari. La perdita in questo caso è stata dell’11,5% nel corso del 2022. Di poco inferiore è stato il valore medio bruciato dai fondi aperti, a -10,7% mentre i fondi negoziali hanno perso il 9,8% e i preesistenti il 4,4%. Si sono salvate solo le Fondazioni di origine bancario che hanno strappato il 3,5% e i PIP legati a gestioni separate in salita dell’1,2%.
A fronte di un’inflazione dell’8,1%, pertanto, il bilancio per il risparmio affidato agli istituzionali in Italia nel 2022 è stato decisamente negativo. Solo il TFR è riuscito a tutelare i risparmiatori dall’inflazione e dalla discesa corale dei mercati finanziari restituendo un incremento di valore dell’8,3%.
Rendimenti a confronto: annui, dal 2014 al 2022, medi annui composti a 3, 5 e 10 anni, cumulati
(valori percentuali) – Fonte: elaborazioni Itinerari Previdenziali su dati COVIP
Il quadro del rendimento nel lungo termine
Il presidente del Centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, invita però a non soffermarsi troppo sui dati relativi al singolo anno in quanto la previdenza complementare deve essere valutata sul lungo e lunghissimo periodo. In questo caso i dati raccolti nel Decimo rapporto premiano la forma di risparmio più penalizzata nel 2022.
I PIP Unit linked hanno infatti ottenuto un rendimento cumulato del 23% sulla distanza dei 3 anni, del 29% a 5 anni e del 66,9% a 10 anni. In generale, come mostra la tabella, sul lungo periodo tutte le forme di previdenza hanno ottenuto rendimenti positivi e in grado di compensare la perdita di potere di acquisto determinata dall’inflazione, calcolata al 14,4%. Anche il TFR vi è riuscito con un rendimento cumulato del 26,4%, una performance che però si colloca solo sopra quella dei fondi negoziali nell’arco temporale dei dieci anni.
Cresce l’allocazione del risparmio agli istituzionali ma Italia ancora indietro
Nonostante la battuta d’arresto del 2022, “la prima” ha sottolineato il presidente del Centro studi e ricerche di Itinerari previdenziali, nel lungo termine gli investitori istituzionali hanno saputo restituire valore ai risparmiatori. I quali hanno scelto in crescente misura di affidargli il loro denaro.
Se si confrontano i dati del 2007 con quelli del 2022 si vede un aument
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