(BorsaeFinanza.it) Un’azienda di trasporto merci della provincia di Ravenna è stata indagata dalla Guardia di Finanza con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato per un caso di esterovestizione. La società ha aperto una filiale in Romania e passando per un’agenzia interinale fittizia ha assunto un centinaio di autisti, in realtà ex dipendenti licenziati con la promessa di farli continuare a lavorare ma in altro modo. I lavoratori, pagati alle condizioni contrattuali rumene, venivano impiegati regolarmente in Italia, dove l’impresa romagnola, con un volume d’affari di 50 milioni di euro, ha evaso al Fisco 3,5 milioni.
Cos’è l’esterovestizione? Il significato
Il caso della società ravennate è un tipico esempio di esterovestizione, quella che gli anglosassoni chiamano foreign dressed company. Ma cosa si intende di preciso quando si parla di questo istituto giuridico? L’IPSOA, l’istituto postuniversitario milanese per lo studio dell’organizzazione aziendale, sostiene che c’è esterovestizione “quando una società simula di essere residente all’estero per non essere assoggettata al regime tributario italiano”. Si tratta quindi di una possibile forma di evasione fiscale che avviene quando il soggetto d’imposta italiano tenta di sottrarre fonti di reddito imponibili alla legge tributaria, inventando una residenza fiscale in un paese diverso dall’Italia, dove invece effettivamente risiede e soprattutto opera.
Nella pratica, un soggetto italiano stabilisce una residenza fiscale estera fittizia (di solito nei paradisi fiscali come le Isole Cayman, il Lussemburgo o le Bahamas) ma continua ad esercitare la propria attività, ad avere sede amministrativa e a perseguire l’oggetto sociale in Italia. L’unico obiettivo di questa strategia è sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dalla legge nazionale e beneficiare di una tassazione inferiore se non della totale esenzione d’imposta. L’esterovestizione si realizza nello specifico quando una società è formalmente residente all’estero (per atto costitutivo e statuto societario) ma presenta precisi presupposti di collegamento con il territorio italiano.
Per determinare la residenza fiscale delle società, il TUIR (il Testo unico delle imposte sui redditi) individua tre criteri di collegamento con il territorio italiano: la sede legale, la sede dell’amministrazione (ovvero la sede dell’attività economica: il luogo in cui la società svolge concretamente il business e convoca le assemblee dei soci) e l’oggetto principale della società. Per le società non residenti in Italia, vale il principio della tassazione territoriale: sono tassati in Italia solo i redditi prodotti sul territorio nazionale e non anche quelli prodotti all’estero.
Naturalmente un soggetto che ha formalmente sede legale all’estero può essere considerato residente in Italia se adotta in massima trasparenza tutti i criteri sostanziali e formali previsti nella sua gestione amministrativa e nella programmazione degli atti necessari affinché il fine sociale venga raggiunto. Soltanto quando viene accertato un collegamento stabile tra la direzione della società residente all’estero e l’Italia può scattare un
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