(BorsaeFinanza.it) La fine della politica monetaria accomodante da parte delle Banche centrali con l’obiettivo di combattere l’inflazione galoppante aveva fatto esultare gli istituti di credito. Anni di tassi bassi o nulli avevano ridotto la redditività delle banche quanto alla componente principale di business, ossia il margine di interesse. Quando le autorità monetarie hanno iniziato ad alzare i tassi d’interesse, sono fioccati i guadagni. Ciò avviene perché di norma il trasferimento del rialzo del costo del denaro è più rapido nei tassi che le banche applicano sui mutui e finanziamenti concessi rispetto a quelli riconosciuti ai depositanti.
In realtà questo stato di grazia si è rivelato illusorio, perché gli effetti collaterali di tassi più alti sono stati diversi e hanno portato alla peggiore crisi bancaria dal 2008. Il mese di marzo infatti è stato un incubo, con tre banche americane che sono fallite – Silvergate Capital, Silicon Valley Bank e Signature Bank – e una quarta che annaspa, First Republic Bank, mentre in Svizzera la storica Credit Suisse è ricorsa a un salvataggio di emergenza grazie alla fusione con UBS.
Banche: ecco i principali rischi con l’aumento dei tassi d’interesse
I tassi d’interesse più alti hanno messo in luce alcuni grandi punti deboli delle banche che per diverso tempo sono rimasti nascosti. Il primo riguarda le perdite sui portafogli obbligazionari. Secondo i dati della Federal Reserve, alla fine del 2022 gli istituti di credito avevano in bilancio 620,4 miliardi di dollari di perdite non realizzate, compresi 340,9 miliardi di dollari su obb
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