Si è conclusa l’undicesima edizione di “Innamòrati di Te”, un progetto itinerante di Codere Italia con l’obiettivo di stimolare il dibattito sulla violenza di genere, in particolare su quella consumata durante la pandemia da covid-19
Un’evento molto significativo quello interamente svolto online e ideato da Codere Italia a cui hanno partecipato personaggi illustri insieme per ricordare che ” durante la pandemia da Covid-19 sono state proprio le donne ad essere protagoniste: dei 49 milioni di persone impegnate nel settore sanitario, ben il 76% è donna. Particolarmente presenti anche nei servizi essenziali che sono rimasti attivi durante il lock down: il genere femminile rappresenta, ad esempio, l’82% degli addetti alle casse e il 95% di quelli impegnati in lavori assistenziali e domestici. E nei lavori di assistenza all’infanzia e nell’insegnamento di sostegno siamo al 93%. Circa l’84% delle donne lavoratrici tra i 15 e i 64 anni è impegnato nei cosiddetti impieghi al femminile dell’economia: asili nido, lavori domestici e di segreteria, vendita al dettaglio, servizi ricettivi e turismo. Posizioni che hanno risentito fortemente della pandemia con conseguenti perdita di posti di lavoro. E lì dove il lavoro è stato conservato, lo si è dovuto combinare in modalità smart-working con la cura dei figli alle prese con la didattica a distanza. Tutto questo ha prodotto una vera escalation nella violenza sulle donne. Con le restrizioni di movimento, e la conseguente convivenza forzata tra le mura domestiche, è diventato più difficile per le vittime anche chiedere aiuto alle forze dell’ordine o semplicemente contattare il numero antiviolenza”.
“Evidentemente mai come in questo anno – dice Imma Romano – era necessario sottolineare quali drammatiche conseguenze ha portato la pandemia, sebbene tutti pensavamo che saremmo diventati più buoni – osserva – mi sembra evidente invece che ora la società sia molto meno inclusiva, specie in relazione alla figura delle donne. Tutti siamo chiamati a rispondere a questa sfida, lo ha detto il Presidente della Repubblica, ce lo dice il presidente del Consiglio, ce lo dice diciamo da soli tutti i giorni. Le istituzioni – – sottolinea – lavoreranno per questo ma il singolo, le aziende non possono e non devono esimersi da portare avanti attività di questo tipo per garantire a tutti un futuro più sostenibile”.
“La differenza di genere è stata utilizzata da parte della società e della cultura – ricorda invece Maria Antonietta Labianca, Avvocato penalista cassazionista – per creare un rapporto diseguale in cui alle donne è stato imposto un ruolo di subordinazione agli uomini. Lo vediamo soprattutto nel luogo che dovrebbe tutelare i diritti dei cittadini in maniera indistinta: il Tribunale, ovvero lì dove dovrebbe regnare la verità e invece troppo spesso regna lo stereotipo. Il Tribunale non è un luogo separato dalla realtà culturale e sociale in cui opera, ma è la sua ulteriore rappresentazione. Il settore giuridico è infatti imbevuto di pregiudizi che si esprimono con le domande che vengono rivolte alle vittime nei processi di violenza oppure nelle motivazioni delle sentenze. Tuttavia, è possibile abbattere i pregiudizi di genere, a partire dall’educare nelle famiglie al rispetto per gli altri e al non imporre modelli educativi in cui esistono ruoli separati ed assegnati di chi serve e di chi è servito”.
Per Rosaria Avisani di Fidapa-Federazione Italiana delle Donne nelle Arti, Professioni e Affari, “Mai come in questo periodo è necessario sensibilizzare e promuovere la “cultura del rispetto” per ogni essere umano, ma con particolare attenzione al rispetto verso le bambine, le ragazze e le donne di ogni età. Strani rigurgiti dettati da ignoranza, opportunismo e poteri patologici stanno offuscando la vita quotidiana delle donne in tutti i Paesi del mondo e anche in Italia. Rilanciare il paradigma e il valore del rispetto in ogni ambito e contesto, non perdere mai l’occasione, ritengo sia la prima operazione da svolgere e l’unico strumento per colmare i gap e i dossier ancora aperti, quali la violenza, l’istruzione, il lavoro di cura e retribuito e il differenziale retributivo”.
“Il fenomeno della violenza di genere – evidenzia Angela Di Salvo, Commissario Divisione Anticrimine della Polizia di Stato, Questura di Roma – ancor prima che con l’intervento repressivo, necessita di essere combattuto promuovendo una cultura di genere che, in modo sistemico, miri ad eliminare retaggi culturali e discriminazioni. Quest’opera di rinnovamento culturale ha interessato anche la Polizia di Stato che da cinque anni, nell’ambito della Campagna “Questo non è amore”, sta portando avanti il Progetto Camper. Un’équipe multidisciplinare – conclude – composta da psicologi, investigatori e operatori dei centri antiviolenza si reca nei principali luoghi di aggregazione, piazze, scuole, università, mettendo a disposizione a chi ne fa richiesta le proprie competenze, cercando di favorire un contatto diretto con le potenziali vittime, con l’obiettivo di informare ed aiutare a far emergere i casi di violenza taciuta o nascosta”.