Guida alle nuove linee guida per un datore di lavoro per aiutare a proteggere i dipendenti da atti di mobbing
Con il termine “mobbing” si fa riferimento ad una serie di atti di molestia o di comportamento che si protraggono nel tempo nei confronti di un dipendente da parte di colleghi e superiori, nel luogo di lavoro stesso. Tale fenomeno è regolato dal principio generale di cui all’articolo 2087 del codice civile. che sancisce, per effetto del contratto, l’obbligo del datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e l’identità del lavoratore. A tale obbligo si collegano anche il combinato disposto degli articoli 2049 e 2059 del codice civile e un regime di corresponsabilità dei datori di lavoro per gli errori commessi dai propri dipendenti.
Pertanto, secondo la Corte Suprema, le molestie non sono altro che un aspetto della violazione da parte del datore di lavoro dei suoi obblighi di sicurezza. Trattandosi di ipotesi di responsabilità contrattuale, è competente il giudice del lavoro. La responsabilità del datore di lavoro sussiste se, anche in assenza di specifica intenzione lesiva, la condotta illecita è stata commessa da un altro dipendente per l’omissione colposa di agire nell’eliminazione dell’atto lesivo. Anche in misura minore, la responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa se gli atti lesivi sono commessi da un altro dipendente che occupi una posizione gerarchica più elevata rispetto alla vittima. Pertanto, è responsabilità del datore di lavoro monitorare il comportamento dei dipendenti e adottare le misure necessarie per porre fine a tale comportamento. Azioni che devono essere specifiche ed efficaci, poiché non basta un semplice intervento “pacificante” per esonerarlo dalla responsabilità del risarcimento dei danni arrecati alla vittima (comprese le molestie): il carattere fastidioso, infatti, è riscontrabile accanto ad elementi quali frequenza, sistematicità, durata nel tempo, intensità progressiva, consapevolezza e disposizione ad attaccare, infastidire, molestare, umiliare la vittima. I fatti e le relative conseguenze dannose non possono essere in sintonia con il danno psichico del lavoratore se la mancanza di coerenza, la rarità degli episodi e il loro legame oggettivo con la vita quotidiana in un’organizzazione produttiva (che è anche luogo di incontro e di contatto con le persone) escludono che il comportamento segnalato possa essere considerato dannoso.