I produttori di latte rischiano il collasso, la situazione è effettivamente “grave e insostenibile” per il settore, in parte per l’aumento dei volumi di materie prime, ma, soprattutto, per una remunerazione troppo bassa, inferiore ai 40 centesimi, pagata da aziende lattiero-caseari. Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, ha lanciato l’allarme.
“E’ veritiero che l’aumento dovuto al rialzo del costo della materia prima oscilla tra i 4 e i 5 centesimi al litro ma oltre a questo ci sono una serie di industrie che in modo ingiustificato e inspiegabile – dice Prandini – stanno pagando il latte meno di quanto lo pagavano nel 2020. Addirittura con un prezzo che oscilla intorno ai 36 centesimi”.
È chiaro che l’imprenditore agricolo è “in perdite nette” : Occorre quindi ad arginare tutto questo e a creare le condizioni per le quali già da ottobre si possa aumentare la remunerazione per i produttori che potrebbero altrimenti chiudere.
“Al momento credo non ci sia bisogno di uno scontro frontale tra i diversi attori della filiera, ma serve senso di responsabilità come mai prima d’ora“, sottolinea il presidente Coldiretti. Serve coscienza per fare lo sforzo, per guardare avanti per raggiungere accordi più lunghi, visto che oggi in Italia di solito si ragiona solo su tempi brevi ( a volte anche da 3 mesi a 3 mesi), perché stiamo cercando di speculare sull’andamento del mercato, ma questo non ci basta.
Prezzi del latte così bassi si trovano un po’ ovunque, da nord a sud, ma il problema si fa sentire soprattutto al nord, poiché il 60-70% della produzione è al nord (50% solo in Lombardia). L’unica eccezione ai prezzi del latte più redditizi fa riferimento a quelli aggiudicati per la trasformazione di formaggi DOP come il Grana Padano, circa 45 centesimi al litro e il Parmigiano Reggiano, 75 centesimi, ma anche qui se si guarda ad altre DOP come il Gorgonzola o il Provolone, “la remunerazione è insoddisfacente rispetto al prodotto offerto in vendita”.
Per quanto riguarda i costi dei mangimi, “la crescita è principalmente nel mais e nella soia, che hanno un impatto maggiore, ma anche per la produzione di fieno quest’anno, con una tendenza alla siccità e con le aree di produzione più vocate che hanno prodotto meno dell’anno scorso”.