l’Italia è ai vertici europei per il riciclo dei rifiuti con una percentuale del 77%, mentre la media europea è al 36% (la Germania al 43%, la Francia al 55%). Si tratta di una mole di 58 milioni di tonnellate annue, fatta di carta, metalli, plastica, vetro, rifiuti organici, cui viene data una seconda vita, l’11% viene bruciato negli inceneritori per produrre energia, e solo una minima parte va in discarica.
È il concetto dell’economia circolare: le materie prime si trasformano in prodotti che, dopo l’uso, vengono nuovamente trasformati in materie prime, come nel ciclo naturale dove nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Questo consente di risparmiare 21 milioni di tonnellate di petrolio, e 58 milioni di tonnellate di anidride carbonica non vengono immesse nell’atmosfera; siamo il settimo paese al mondo per la produzione di energie alternative con 820.000 impianti.
Le aziende che operano nel settore sono 345.000, occupano quasi un milione di dipendenti e sono spesso dirette da giovani (il 47% ha meno di 35 anni). Il segreto del successo sono i Consorzi obbligatori, costituiti per legge con lo scopo di raccogliere particolari materiali: ne esistono di tutti i tipi, il CONAI per gli imballaggi, il COREPLA per la plastica, il COMIECO per la carta, e tanti altri, e, pur avendo una finalità ambientale, contribuiscono al profitto di tutti gli aderenti, siano essi raccoglitori, riciclatori, distributori.
Ma il genio italico si manifesta nella ricerca delle soluzioni, e in questo c’è solo l’imbarazzo della scelta; grandi società come l’ENI hanno riconvertito le raffinerie di Venezia e Gela in bioraffinerie per il trattamento degli oli vegetali (gli oli utilizzati in mense e ristoranti) trasformandoli in biodiesel. L’invenzione della plastica si deve al genio italico di Giulio Natta, premio Nobel per la chimica, che inventò il polipropilene, meglio conosciuto come “Moplen”, uno dei volani dello sviluppo economico del dopo guerra.