Ci è passato anche Dante Alighieri. Nel quinto canto dell’Inferno, ascoltando la storia di Paolo e Francesca, il poeta si emoziona al punto da svenire (la celeberrima “e caddi come corpo morto cade”). Svenimento, mancamento, sdilinquimento, perdita dei sensi: la lingua italiana non manca di termini per definire quella che in medicina viene chiamata sincope.
La sincope (dal greco synkopte in spezzare, tagliare insieme) è una perdita di coscienza transitoria caratterizzata da una insorgenza rapida, una breve durata e un recupero completo e spontaneo. Dobbiamo sottolineare che la definizione attuale di sincope si riferisce specificamente a quella dovuta ad ipoperfusione cerebrale
globale (un ridotto afflusso di sangue al cervello, ndr). Questo ci permette di evitare confusione con quelle che chiamiamo “pseudosincopi”, episodi simili in
apparenza, ma dovuti a patologie come ad esempio l’epilessia, le intossicazioni o i disordini metabolici.
Una persona sviene all’improvviso. A volte, ma non sempre, ha provato prima un senso di nausea, sudorazione, offuscamento della vista. Spesso si tende a rialzarlo, a metterlo subito a sedere. Invece la persona svenuta va lasciata distesa fino al recupero perché, nel caso di una sincope vera, la caduta è quasi un meccanismo di difesa: quando un individuo è sdraiato a terra il sangue incontra meno difficoltà nel suo percorso e raggiunge più facilmente cuore e cervello. In ogni caso sarà necessario ricorrere al medico. La valutazione iniziale del paziente include una anamnesi sulle patologie di cui soffre e sui farmaci che assume. Anche il racconto di eventuali testimoni presenti è molto utile. Poi c’è l’esame obiettivo, la misurazione della pressione arteriosa, sia in piedi che sdraiati, e l’elettrocardiogramma. Quest’ultimo esame è di fondamentale importanza. Un ECG alterato può infatti far emergere o escludere la presenza di una cardiopatia.
Se invece si sospetta una causa metabolica saranno utili esami del sangue.