AGI – “È indubbio che la disunità economica e sociale dell’Italia resta ancora oggi il limite strutturale più evidente e meno affrontato”. E’ quanto emerge da uno studio di Eurispes. “La più grande incongruenza del nostro Paese – premette l’istituto di ricerca – è che una parte di esso (pari al 41% dell’intero territorio) vive in condizioni sociali, economiche e civili così dissimili da farla sembrare quasi una nazione a parte“.
Nel 1951, viene ricordato, il Pil pro capite nel Meridione era il 52,9 rispetto a quello del Centro-Nord, cioè la metà. Nel 1973 arrivò al 60,5 (quasi otto punti in più rispetto al 1951), un risultato mai più raggiunto negli anni successivi.
“Il Sud non è un socio di minoranza. La domanda assillante da porsi è questa: può una nazione dirsi tale se un suo terzo è in condizioni radicalmente diverse da quelle degli atri due terzi? No, non lo può per ragioni morali, civili, di equità minima, ma principalmente per ragioni economiche: in una stessa nazione e in una economia interdipendente, l’arretratezza di una parte comporta una riduzione della ricchezza nazionale e riduce l’orizzonte dello sviluppo”.
“E’ la più grande incongruenza del nostro Paese . Senza minimamente riflettere sul fatto che se quel territorio arretrato recuperasse la via della crescita e si avvicinasse alle prestazioni delle altre due parti, l’Italia tornerebbe tra le nazioni leader dell’economia mondiale”.
La coesione dell’Italia è la nostra più grande riforma economica
“La co
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