AGI – Un lavoratore su due boccia lo smart working e il 40% vorrebbe tornare in presenza. Il dato emerge da una ricerca della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, secondo cui si dichiara complessivamente contento soltanto il 52% dei lavoratori “remoti” e il 50,3% di quelli che si recano ogni giorno in presenza. Ma le valutazioni degli smart workers appaiono molto polarizzate, tra chi è entusiasta e chi non ne può più: a fronte del 16,1% che afferma di essere molto soddisfatto, tra i lavoratori in sede la percentuale scende al 10,4%. Parallelamente, risulta molto più alta l’area dell’insofferenza: il 17,2% non è per nulla contento di tale situazione, mentre tra chi si reca ogni giorno in ufficio la percentuale scende al 10,1%.
Chi ha avuto più difficoltà, ad attrezzarsi, a collegarsi, a gestirsi con i figli a casa, non solo “boccia” lo smart working, ma inizia anche ad avvertire in misura rilevante un senso di marginalizzazione rispetto alle dinamiche aziendali, penalizzazione della carriera e vera e propria disaffezione verso il lavoro. In un circolo vizioso causa-effetto, in cui questi ultimi fattori, finiscono per condizionare al tempo stesso l’esperienza di lavoro casalingo, evidenziandone i fattori di criticità.
Non stupisce pertanto che circa quattro lavoratori su dieci siano contenti all’ipotesi di tornare a lavorare tutti i giorni in presenza; il 43,5% non lo sarebbe, ma si adatterebbe alle nuove condizioni, mentre il 16,7% guarda ormai allo smart working come un punto di non ritorno della propria vita professionale: il 10,7% cercherebbe infatti un qualsiasi altro lavoro pur di continuare a lavorare da casa, il 4,5% sarebbe disposto a farsi abbassare lo stipendio e l’1,5% addirittura dimettersi.
Tali tendenze non rendono però conto di uno spaccato di lavoro che in realtà si presenta fortemente differenziato al proprio interno, dove l’esperienza di quest’ultimo anno è stata vissuta in modo molto diverso da giovani e adulti, da lavoratori con figli e non. Donne e uomini esprimono mediamente lo stesso favore, anche se tra le prime la quota di quante sono “molto contente” di lavorare da casa è più alta (21,3% contro il 12,6% degli uomini).
Complessivamente, gli uomini sembrano aver patito maggiormente le conseguenze del lavoro da casa, in termini relazionali e
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